Pervenutaci questa nota in redazione:
Gentile sig. Morlando. Per mezzi informazione Olandese sto preparando un servizio sulla Mozzarella di Bufala dopo che uscito un video, la settimana scorsa, sui maltrattamenti degli animali in alcuni allevamenti. La mia collega Andrea Verde mi ha dato il suo nome, visto che lei ex-assessore del comune di Castel Volturno e che, in quella veste, potrebbe conoscere degli allevatori con cui parlare di questa vicenda e della nomina, non proprio brillante, della Mozzarella di Bufala. Spero che mi potrebbe aiutare. Cordiali saluti, Angelo Van Schaik
Abbiamo ospitato il giornalista olandese nelle nostre sede e datogli delucidazioni per una sana informazione, e da qui nasce questo speciale del Prof. Luigi Zicarelli.
Prof. Luigi Zicarelli: «Salviamo la Mozzarella e il consorzio di tutela difenda il suo prodotto»
Ancora una volta non si perde occasione per ricoprire di fango l’attività che ruota intorno a un prodotto che è il fiore all’occhiello della nostra Regione. Ovviamente mi riferisco al video apparso in Germania che deriva verosimilmente dalla rivista digitale VIER PFOTEN (Quattro zampe).
È certo che se il video c’è il fatto sussiste. Ovviamente è un episodio che non riguarda la contraffazione o l’igiene ma il benessere animale cui il consumatore, soprattutto del Nord Europa, è molto attento. Il filmato è stato effettuato in un allevamento che non rappresenta l’allevamento bufalino medio né tantomeno le numerose aziende di altissimo livello che allevano una specie che è considerata il simbolo della zootecnia della Campania. È improbabile che il proprietario abbia consentito di far effettuare le riprese in un momento in cui la sua azienda era poco presentabile, cosa che, del resto sporadicamente può (anche se non dovrebbe) accadere ovunque. In questo caso il proprietario dovrebbe rivalersi su chi di nascosto ha effettuato le riprese. Non è da escludere, tuttavia, che il proprietario per problemi economici stia per cessare l’attività, abbia allentato i freni e abbia ragionato in modo distorto: Muoia Sansone con tutti i Filistei!
Queste considerazioni non sono molto utili per una filiera che frequentemente appare sulle cronache per episodi negativi. Non è il caso di ricordarli tutti. Il controllo del benessere animale negli allevamenti è di competenza dei servizi veterinari che effettuano la vigilanza in occasione delle profilassi di stato che si verificano semestralmente. Evidentemente non basta! A fronte di numerosi imprenditori che seguono le regole e fanno di tutto per aggiornarsi al fine di conseguire standard di alto livello vi è sempre chi fa a gara per dimostrare che si può produrre al di fuori degli standard. Tanti problemi potevano essere risolti alla radice con un servizio veterinario più vigile e con un Consorzio di tutela che espletava il ruolo che gli è affidato dal legislatore.
I consorzi di tutela sono organismi composti da produttori e/o trasformatori di un determinato prodotto di qualità. Essi hanno come scopo primo la tutela, la promozione e la valorizzazione dei prodotti. I consorzi di tutela hanno anche l’importantissimo ruolo di informazione al consumatore e di vigilanza sulle produzioni. I consorzi di tutela, assieme alle associazioni, sono le strutture deputate alla gestione delle produzioni DOP e IGP e adottate da produttori e trasformatori per il coordinamento di tutte le attività relative. Al fine di ottenere il riconoscimento, i consorzi devono coinvolgere tutta la filiera produttiva, ammettendo nella compagine sociale oltre ai soggetti che producono il bene finito anche quelli che fanno parte del ciclo produttivo. Quest’ultimo aspetto rappresenta un elemento distintivo e un fattore chiave per lo sviluppo e il successo sul mercato italiano e straniero di queste produzioni.
Nel caso della MBC DOP è noto che, con l’assenso delle organizzazioni professionali, la rappresentanza dei produttori (allevatori) è costituita da una sola unità (“i consorzi devono essere rappresentativi della produzione immessa sul mercato con la denominazione e devono coinvolgere tutta la filiera produttiva, ammettendo nella compagine sociale oltre ai soggetti che producono il bene finito anche quelli che fanno parte del ciclo produttivo”). In merito al ruolo che il consorzio dovrebbe espletare circa la vigilanza sulle produzioni ricordo che nel consorzio nel passato lavorava un laureato che vigilava sugli allevamenti e dava anche consigli sull’alimentazione: tutto questo è finito perché non a tutti conviene essere redarguiti sull’osservanza delle regole. Ricordo che l’attuale decreto sulla tracciabilità ha trovato dei fieri oppositori proprio nei rappresentanti del Consorzio (qualcuno di questi ricopre un ruolo non secondario nell’ambito del Consiglio) sia sulla separazione degli stabilimenti sia sull’utilizzo del latte di vacca.
Il Consorzio ha perso numerose occasioni per dimostrare la sua validità:
- Brucellosi: se è vero che è un problema su cui dovevano vigilare in maniera più stringente le ASL è anche vero che i soci del Consorzio non dovevano “assolutamente” utilizzare latte da aziende non indenni. Così non è stato perché conveniva utilizzarlo per sottopagarlo. Se i caseifici DOP avessero preteso latte come prevede la normativa la brucellosi sarebbe stata eliminata in poco tempo. Il tutto è avvenuto con ritardo perché gli allevatori hanno preferito ascoltare i ciarlatani che da anni operano nel settore! Quando gli allevatori hanno capito, hanno sacrificato circa 50.000 capi sull’altare della salute pubblica. Molti non hanno retto e hanno cessato l’attività. Di tutto ciò i media non hanno parlato perché evidentemente è una notizia che non aumenta le vendite dei quotidiani. Resta il difetto ancestrale di non ascoltare opinioni di molteplici competenze e di affidarsi a chi ha interessi ben lontani, forse anche per ignoranza, dal far crescere in maniera sana il settore.
- Diossina: se è vero che è un problema su cui dovevano vigilare in maniera più stringente le ASL è anche vero che i soci del Consorzio dovevano pretendere l’autocontrollo e la autocertificazione da parte dei conferitori; anche questo è successo quando i buoi erano già usciti dalla stalla.
- Per il benessere animale occorre una vigilanza più stringente da parte delle ASL ma buona regola sarebbe che i soci del Consorzio non ritirassero latte da chi non garantisce agli animali il benessere che la normativa europea prevede. Indipendentemente da ogni considerazione è noto che oggi i consumatori sono molto attenti a questa problematica: non è possibile, per esempio, allevare più le galline ed i polli da carne in gabbia! Gli acquirenti che rappresentano società di distribuzione di grosse dimensioni frequentemente ispezionano i caseifici e gli allevamenti che conferiscono il latte. Garantire al consumatore che il prodotto finito derivi da allevamenti che seguono le regole entra nei compiti del Consorzio perché è uno strumento utile alla valorizzazione del prodotto.
- Annosa problematica dei vitelli maschi: nel 2008 con il PSR fu istituita una misura (premi) per chi allevava i vitelli maschi per almeno 15 giorni. L’adesione piena, anche se non completa, alla misura si è avuta nel 2010 perché le organizzazioni professionali è più che noto che hanno altri interessi. Quest’anno la misura verrà reiterata con premi molto interessanti: speriamo bene!
È certo, tuttavia, che se da una parte l’Assessorato all’agricoltura cerca come può di dare il suo contributo dall’altra il “pubblico” è totalmente assente: basterebbe che nelle gare di appalto per le mense pubbliche fosse previsto obbligatoriamente la presenza nella dieta almeno una volta alla settimana di un hamburger o di una polpetta di annutolo purché allevato secondo le norme del benessere e secondo un rigido disciplinare di alimentazione e di allevamento. Il problema è anche culturale. Il pubblico dovrebbe farsi promotore di attività volte alla conoscenza delle caratteristiche nutrizionali della carne di bufalo. Ci siamo mai chiesto quanti sono gli allevatori bufalini e quanti sono coloro che denigrano, giustamente, le brutalità che vengono commesse a carico dei vitelli che mangiano carne di annutolo? È interesse di tutti, e soprattutto dell’etica, che gli animali siano allevati secondo norme ben precise perché il consumatore, e non solo quello che è orientato al biologico, pretende che ciò che mangia sia allevato secondo le norme che sono state dettate dalla Comunità Europea. Il volume di affari che genera la mozzarella di bufala non è più di nicchia ma erode fette di mercato ad altre attività. Ciò comporta e comporterà sempre più che i riflettori siano accesi e chi vuole essere attore di questa filiera deve rispettare le regole vigenti.
di Luigi Zicarelli
Tratto da Informare n° 137 Settembre 2014