Giornalisti di Repubblica in sciopero. Era questo l’unico titolo leggibile sulla pagina web del primo quotidiano del paese fino a qualche giorno fa. Il motivo? In un comunicato frutto dell’assemblea dei giornalisti del quotidiano viene spiegata la contrarietà alla possibile vendita non soltanto di Repubblica a livello nazionale, ma anche di redazioni più piccole e locali come il Mattino di Padova e tante, forse troppe altre. Oggi lo sciopero è rientrato ma cosa ci racconta un episodio del genere? I campanelli d’allarme di certo non mancano. Rimettiamo gli orologi indietro di circa un anno e torniamo a marzo 2022, con Marco Damilano che annuncia le proprie dimissioni da direttore de L’Espresso. Dimissioni che all’epoca furono motivate proprio parlando della volontà del gruppo GEDI di vendere la storica testata periodica a causa della crisi che da tempo attraversava ed attraversa senz’altro ancora oggi. A quelle dimissioni seguì la nomina a direttore di Lirio Abbate, vice direttore dell’Espresso poi sollevato dall’incarico da BFC Media, i nuovi proprietari della testata. Quella rimozione avvenne, a detta dell’assemblea dei giornalisti, in maniera del tutto immotivata e proprio nel periodo di approvazione del piano editoriale.
Giornalisti interrotti: la Rai e la politica
L’Italia ha uno storico e atavico problema con il mondo dell’informazione. Due sono stati con ogni probabilità i più grandi dibattiti relativi ai media nel nostro paese: il primo riguarda lo storico conflitto tra la RAI e la politica, il secondo riguarda l’impero mediatico Mediaset di Silvio Berlusconi. Ma perché ancora oggi queste due questioni sono così sentite nell’immaginario dell’italiano medio? La Rai è l’emittente radio televisiva nazionale, è in qualche modo lo specchio del paese ed è proprio in virtù di questa sua funzione che molte, forse troppe volte la politica ha ritenuto di dire la sua su come dovrebbe funzionare.
L’ultimo teatrino è andato in scena dopo il Festival di Sanremo: dopo gli attacchi di Fedez al governo e dopo il bacio tra lo stesso ed il cantante Rosa Chemical in prima serata su Rai 1, la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha tuonato contro le dirigenze Rai, proponendo cambi di poltrone a destra e a manca. Non sono mancate ovviamente le reazioni contrariate dei dirigenti Rai e l’ovvia levata di scudi del centro-sinistra. Forse però per avere la fotografia di una vera e propria degenerazione dei rapporti tra la politica e la Rai bisogna tornare ai tempi del così detto Editto Bulgaro, che fece scendere in guerra Berlusconi contro Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi. A quell’episodio sono seguite le storiche sceneggiate della Seconda Repubblica: telefonate durante le trasmissioni, insulti ai giornalisti, domande lasciate senza risposta alle conferenze stampa, scene da teatro dell’assurdo durante i talk show. Questa fotografia ci parla di un paese dove il rapporto tra politica ed informazione attraversa delle fasi contraddittorie e sicuramente complesse.
Mediaset: l’informazione a disposizione
L’altro grande protagonista del dibattito relativo al mondo dell’informazione in Italia è il gioiellino dell’ex presidente del consiglio Berlusconi. Mediaset ha rappresentato la svolta – in termini di cambiamento – della televisione in Italia. In un momento storico complesso in cui gli italiani percepivano il cambio di passo arrivano i nuovi canali, figli del self-made man italico che provano a distrarre le famiglie, ad entrare in casa delle persone con programmi buffi e leggeri, lontani dai grigiori burocratici della sinistra. E’ questo il linguaggio – e l’impostazione – che viene data ai programmi Mediaset che prendono sempre più protagonismo anche per rispondere a chi in Rai prova a fare opposizione ai quattro governi del centro-destra guidati proprio da Silvio Berlusconi. L’esperimento riesce ma porta con sé tante contraddizioni: può un intero impero mediatico essere al servizio dell’imprenditore che gli ha dato la vita mentre quello stesso imprenditore occupa la poltrona di presidente del consiglio dei ministri? Sarà questa una delle domande più gettonate nei talk show, nei dibattiti in piazza, nelle assemblee d’istituto durante gli anni cruciali della Seconda Repubblica e che porterà ad un dibattito – non ancora chiuso – rispetto al conflitto d’interessi.
Un’informazione ha valore se è una libera informazione
Non c’è una sintesi rispetto a quanto abbiamo scritto sino ad ora. L’informazione in Italia ha conosciuto un rapporto a tratti quasi incestuoso con alcuni apparati dello Stato e questo ci racconta sicuramente di una degenerazione rispetto ai rapporti tra cosa pubblica e pubblica informazione. Ci sono stati tanti, tantissimi esperimenti interessantissimi in questi anni che hanno ridato dignità e prestigio al mestiere del giornalista, il cui ruolo è quello di trovare l’informazione, di condividerla piuttosto che di registrarla ed impacchettarla.
Tantissimi esperimenti di libera editoria molto spesso rimangono invisibili perché all’ombra dei giganti dell’informazione. Ed è proprio a proposito di questi giganti che ci poniamo delle domande: che cosa accadrebbe se da domani la Repubblica e le altre storiche testate appartenenti al gruppo GEDI finissero in altre mani? Non siamo prevenuti. Non crediamo che ad ogni angolo ci siano imprenditori senza scrupoli pronti ad imbavagliare i cronisti, la domanda è però complessa e soprattutto legittima: un’informazione è veramente libera nel momento in cui il compito di quell’informazione è anche – talvolta soprattutto, altre volte esclusivamente – rimpinguare il portafogli di chi detiene il monopolio di quell’informazione? Quale può essere l’exit strategy da quella che sembra essere una strada senza uscita, dove libertà di stampa e d’informazione vorrebbero avere la strada spianata ma si scontrano con la dura realtà di un paese – e di un sistema – dove tutto si trasforma in qualche modo in una merce di scambio?
La risposta ovviamente non possiamo darla noi né tanto meno può darla la sola categoria dei cronisti , molto in realtà e molto spesso dipende da chi delle notizie ne usufruisce, più i lettori e le lettrici avranno fame di libera informazione e più sarà facile per la stessa andare aldilà delle maglie dell’imprenditoria, dell’asservimento e della manipolazione.