La filiera agricola che porta un ortaggio sulle nostre tavole non inizia dal felice contadino che lavora la sua terra, ma inizia in tanti piccoli hub dello sfruttamento, come Napoli e le sue campagne di provincia, la rotonda di Giugliano o di Mondragone, oppure nei vicoli di Villa Literno e Cancello ed Arnone. Spesso a rendere produttiva questa filiera sono migliaia di immigrati assoldati dai caporali per lavorare senza diritti, con orari assurdi e paghe che non sono solo irrisorie, ma corrisposte solo a termine di due settimane di lavoro. È lo sfruttamento de braccianti agricoli, ma stavolta non racconteremo le condizioni di lavoro o le violenze fisiche, ma di una tragedia nascosta di cui si sa troppo poco. Nel corso della nostra passata inchiesta sul caporalato, ci siamo imbattuti in testimonianze di violenze sessuali che i caporali attuano nei confronti dei braccianti.
Abbiamo indagato e siamo andati alla ricerca di testimonianze che hanno fatto emergere una striscia di violenze estesa “nascosta” da immigrati che, senza un briciolo di diritti, hanno vergogna e paura nel denunciare. I caporali non solo attuano direttamente violenze sessuali, ma ricattano i braccianti, minacciandoli di non farli lavorare o di non corrispondergli quanto gli devono. A volte, addirittura, i caporali fanno da tramite per avvicinare il bracciante a donne che abusano di loro o li ricattano per conto del capo. Ciò che rendono questo fenomeno così intenso sono le ripercussioni psicologiche per immigrati, quasi tutti africani, che hanno una concezione di omosessualità diversa dalla nostra e per i quali il corpo è qualcosa da preservare, dato che rappresenta l’unica fonte di reddito per un bracciante agricolo.
LA TESTIMONIANZA DI VIOLENZE SESSUALI SUI BRACCIANTI
Per capire qualcosa in più di questo fenomeno abbiamo parlato con M., ex bracciante e oggi mediatore culturale per conto di un’importante organizzazione. Lui non solo ha subìto direttamente violenze a sfondo sessuale, ma è stato testimone e di aiuto a tanti braccianti che sono stati colpiti da questo tipo di abusi durante il lavoro nelle campagne casertane e napoletane. La realtà che emerge è quella di una logica schiavista, che vede il migrante come mezzo per soddisfare qualsiasi bisogno.
Le violenze sessuali sui braccianti esistono e qual è la tua esperienza?
«È una triste realtà. Nel 2010 lavoravo come bracciante in una campagna di tabacco, ero molto giovane. Stavamo aspettando alla rotonda il furgone che ci venisse a prendere per andare a lavoro e io ero seduto avanti insieme al caporale. Lui all’improvviso iniziò a toccarmi le spalle e le gambe facendomi dei complimenti, io lo respinsi perché per me, come per moltissimi africani, questa intimità fisica tra uomini non fa parte della nostra cultura. Continuò mettendomi le mani tra le gambe e dopo il rifiuto mi disse che potevamo fare di tutto e che mi avrebbe dato più soldi, oltre che una casa in cui dormire».
Cos’è successo in seguito?
«Dopo l’ennesimo rifiuto da parte mia, decise di non farmi più lavorare per quel giorno. La mattina successiva venne nuovamente col furgone e mi fece salire insieme ad altri miei amici; dopo la giornata di lavoro mi propose di diventare il suo fidanzato in cambio di un compenso economico. Io non capivo… ero giovanissimo, avevo poco più di vent’anni e lui era un uomo sposato. Da quel giorno in poi non lavorai più per lui».
Come hai vissuto quel momento?
«È un enorme disagio psicologico. Nella mia cultura addirittura questo tipo di dinamica è sintomo di una maledizione, è una cosa proibita e che non va fatta. Ti senti sporco. Tutto è estremamente peggio se sei musulmano, diventa un peso psicologico enorme. Ho vissuto un disagio profondo perché ero speranzoso di trovare una cultura migliore e invece ho trovato un uomo che continuava a toccarmi contro la mia volontà».
Hai confidato questa esperienza a qualcuno?
«Sì e non mi aspettavo di sentire tante storie del genere, alcuni mi hanno detto che sono stato fortunato. Un mio amico, a seguito della mia confessione, mi raccontò che nel furgone il caporale gli fece bere una bibita per dissetarsi, da lì si addormentò e si svegliò da solo in mezzo a dei campi. Era stato violentato».
IL CAPORALE COME INTERMEDIARIO PER LE DONNE
Gli abusi provengono solo da i caporali uomini?
«No, a volte i caporali fanno da intermediari per condurci alle donne. Ricordo che il mio capo mi chiese di portare le buste della spesa a casa di una sua amica e, una volta aperta la porta, lei ha iniziato a toccarmi e a offrirmi soldi per fare sesso. Io sono scappato. Bisogna capire che per un africano il sesso facile non è così ben visto e particolarmente per un migrante può destare tanti sospetti, dato che proveniamo tutti da storie di sfruttamento siamo molto sospettosi quando una donna ci offre sesso e soldi».
Ti è capitato di aiutare o ascoltare tuoi ex compagni di lavoro aver subito lo stesso tipo di volenze?
«Certo. Un mio amico di Castel Volturno era solito recarsi alla rotonda di Giugliano per cercare lavoro, fino a quando è stato avvicinato da un caporale per lavorare nei campi lì vicino. All’inizio tutto andava bene finché il capo decise di spostarlo in un’altra zona per farlo lavorare all’interno della casa di una donna, con il compito di fare tutto ciò che lei richiedeva. Un giorno la donna gli chiese di fare sesso con lei per ottenere in cambio un sostanzioso aumento dalla somma che il caporale doveva ancora dargli. Lui tentennò e andò via perché aveva paura. Tornato dal lavoro me ne parlò per chiedermi un consiglio, io gli risposi che lui era lì per lavorare e non avrebbe dovuto cedere a questi ricatti. Il giorno dopo, recatosi nella casa, trovò la donna completamente svestita che gli intimò di fare sesso con lei, diversamente avrebbe avvisato il caporale che lo aveva portato lì e gli avrebbe fatto perdere il lavoro. Davanti a questo ricatto lui scappò e da quel momento non ha più lavorato, né ha ricevuto i soldi che il caporale gli doveva. Da quella vicenda ne uscì traumatizzato e decise di abbandonare Castel Volturno per recarsi a Foggia, dov’è tutt’ora».
Perché il caporale gli doveva dei soldi?
«In genere i braccianti vengono pagati dopo due settimane dal lavoro svolto. Lui lavorò per due settimane e in cambio non ricevette nulla, tutto questo perché si rifiutò di fare sesso con quella donna».
L’ESTENSIONE DEL FENOMENO
Ritieni che le violenze sessuali sui braccianti siano un fenomeno esteso?
«È esteso, ma non se ne parla. La violenza sessuale può essere diretta o indiretta, io per anni ho avuto un caporale donna che faceva di tutto per avere un rapporto sessuale con me. Mi toccava continuamente, mi faceva fare massaggi e faceva di tutto affinché rimanessimo sempre da soli. Per alcuni uomini può sembrare una “fortuna”, ma non è così e infatti ho dovuto lasciare quel lavoro. Mi sentivo in grande difficoltà e ritengo che questi atteggiamenti siano vere e proprie violenze».
Quali sono le ripercussioni psicologiche?
«L’omosessualità è qualcosa di estremamente distante dalla cultura africana, quindi una persona che subisce violenze contro la propria volontà si sente sporco e in colpa. Questo perché atteggiamenti del genere gettano disonore sulla persona e ciò si ripercuote sulla sua famiglia in Africa. Oltre questo aspetto bisogna pensare che le violenze spesso significano ricatti, che per un bracciante vuol dire non lavorare o rischiare di perdere ciò che il caporale gli deve».
Cosa occorrerebbe?
«Bisognerebbe avere delle leggi a tutela dei braccianti che vogliono denunciare queste violenze. Purtroppo, in tanti hanno difficoltà a raccontarlo, oltre per la vergogna, perché sono consapevoli che non potranno avere giustizia».
IL PARERE DELLA CARITAS
La dinamica fatta emergere da M. sembra parlarci di una realtà estesa e complessa, perciò abbiamo chiesto a chi quotidianamente si occupa di Immigrazione nel territorio casertano, ovvero Gianluca Castaldi responsabile dell’Ufficio Immigrazione Caritas di Caserta. Con lui abbiamo fatto il punto sulle ripercussioni delle violenze e le esperienze che ha vissuto direttamente
Perché il corpo è così importante per un migrante?
«Il corpo è l’unica fonte di reddito, quindi se viene compromesso diventa un enorme problema. Questo è un dato che possiamo riscontrare nell’ampia fase di negazione delle malattie, tanto è vero che come Caritas abbiamo attivate progetti di prevenzione per spingere i braccianti a controllarsi. Non è una cosa che fanno per negligenza o menefreghismo, ma perché preferiscono non sapere dato che qualsiasi problema fisico potrebbe significare il fallimento del progetto migratorio».
Come valuti il fenomeno delle violenze sessuali sui braccianti?
«È una questione di cui si parla troppo poco. Bisogna dire che è difficile venire a conoscenza di queste dinamiche poiché le vittime hanno difficoltà a parlarne e, soprattutto, tendono a darsi delle colpe. Quando ho sentito la prima volta degli abusi sono rimasto scioccato, anche se poi ho capito che non dovevo sorprendermi più di tanto perché si tratta della estesa e tipica logica del migrante-schiavo».
Cosa intendi?
«L’idea è che il migrante è qui per noi e per quello di cui abbiamo bisogno. La politica non aiuta e un chiaro esempio è la protezione speciale, in cui per avere il permesso di soggiorno occorre avere un contratto di lavoro. Questo sistema alimenta il fatto che il soggiorno lo ottieni non se lo meriti, ma se ci servi. Se la politica parte dal presupposto che il migrante per avere legittimità deve “servirci”, figuriamoci l’italiano medio».
Nella tua esperienza qual è stata la scena più dolorosa nella quale è insita questa filosofia?
«È una storia che proviene da Castel Volturno. Ricordo di una donna ghanese che aveva improvvisamente perso il marito e si era ritrovata in una situazione di disperazione, dato che lui era l’unica fonte economica della famiglia. Vista l’emergenza ha richiesto al suo affittuario se fosse possibile ridurre il prezzo dell’affitto, dato che era appena diventata vedova. Ebbene, quest’uomo non solo gli ha rifiutato la richiesta, ma le ha alzato il prezzo dell’affitto intimandole di andare via subito se non le stava bene. Ovviamente lei non poteva pagare e così il proprietario gli ha proposto la rimozione dell’affitto a patto di soddisfare i suoi piaceri sessuali qualsiasi volta ne avesse voglia».
Cosa ti disse quando venne in Caritas per confessarti l’accaduto?
«Mi fece una gran tenerezza. Mi disse: “Gianluca pur di non far dormire mio figlio in strada sarei disposta ad accontentarlo, ma non può dire cose del genere davanti a mio figlio”. Lui non solo l’aveva trattata come una prostituta, ma aveva fatto tutto ciò davanti al figlio».
In quel momento cos’hai fatto?
«L’ho chiamato e la risposta mi ha spiazzato. In genere quando sentono chiamare la Caritas o il nostro Ufficio Legale all’inizio negano l’accaduto. Lui no, anzi, mi disse: “Ma ‘ste negre la danno a tutti è un problema se la danno anche a me?”».