La storia di coraggio e determinazione dell’attrice campana
Giuseppe Schisano nasce a Pomigliano d’Arco e dal 1998 inizia a studiare recitazione a Roma.
Nel 2009 vince il premio come Miglior attore esordiente, per la sezione fiction e tv, mentre l’anno dopo riceve in Campidoglio il premio come attore rivelazione. Nel 2011 ha iniziato il percorso per cambiare sesso, divenendo poi Vittoria. Tante le collaborazioni tra teatro e tv, ultima in ordine di tempo, la partecipazione a Ballando con le Stelle.
A seguito di numerosi riconoscimenti a livello professionale, ritieni di essere giunta già al top?
«No, assolutamente! Io credo che ogni traguardo sia un punto di partenza soprattutto quando ami il tuo lavoro. Perché poi alla fine resti con i piedi per terra, non ti dimentichi da dove vieni e riesci a dare un peso alla fatica che hai fatto, ma anche ai risultati che in qualche modo sono arrivati e stanno arrivando. Però non vado da nessuna parte e sicuramente il regalo più bello è quando cammino per strada e le persone manifestano il proprio affetto. Io credo ancora alle favole e pretendo anche che si realizzino, forse questo è un mio problema».
Avevi un mentore o comunque un idolo che ti ha portato a scegliere questo mondo?
«Sofia Loren, ovviamente. Ero bambina e guardandola sognavo di essere lei, di somigliarle seppur lontanamente come donna e come attrice, perché mi affascina tantissimo il poter essere prima donna, diva e popolana con la stessa identica naturalezza, quindi poter fare un ragù con amore e il giorno dopo essere sul red carpet».
Spesso ti sei definita come “nata nel corpo di un altro”, quando e come è maturata questa idea?
«L’idea non è mai maturata, nel senso che già da bambino sapevo benissimo chi ero, poi purtroppo non esiste una formazione scolastica, politica o familiare che ti educhi alla diversità. Soprattutto in questi giorni abbiamo sentito di casi di cronaca ancora orribili e indecenti, come quando ero piccola e subivo bullismo. Io stessa mi sentivo sbagliata, ma perché era la società e la cultura a farmelo pensare, oltre che la mia stessa famiglia. Ma nel mio caso stiamo parlando anche di 30 anni fa, oggi è veramente anacronistico.
Le esperienze diverse ci accrescono e migliorano, non bisogna aver paura. Quello che sta accadendo è inaccettabile, chi non accetta l’altro, non serve a questa società».
Ritieni che anche nel mondo dello spettacolo ci sia ancora tanta ignoranza a riguardo?
«Ho sentito di giornalisti che non usano correttamente la lingua italiana, ed è inaccettabile, perché così come gli insegnanti, devono conoscere le parole e dare loro il giusto peso. Così come sono inaccettabili gli inviti al silenzio, bisogna dirlo che la società e la politica hanno fallito, perché è incredibile che nel 2020 non abbiamo ancora una legge contro l’omotransfobia, a prescindere da quello che è il pensiero comune».
Se potessi riavvolgere la pellicola della tua vita, c’è qualcosa che rimpiangi di non aver fatto? O che cambieresti?
«Si, perché comunque a Giuseppe ho fatto tanto male, perché io stessa ovviamente non avevo degli esempi.
Ero un ragazzo triste e pensavo di morire prima o poi e di rinascere donna. Chiederei sicuramente scusa a Giuseppe e direi le cose come stanno, a mia madre e a chi mi stava intorno, senza vergognarmi, perché non ero io a dover provare vergogna, ma doveva vergognarsi chi non è stato in grado di starmi vicino e sostenermi. I compagni che a scuola mi prendevano in giro sono gli stessi che oggi mi corteggiano».
Cosa diresti a tutte quelle ragazze e ragazzi che ritengono, come te, di esser “nati in un corpo sbagliato” o che fanno fatica a dichiarare il proprio orientamento sessuale?
«Direi di non aver paura, anche se fa paura. Bisogna portare avanti se stessi, il proprio essere, rimanendo delle persone perbene e amarsi, perché se non siamo noi i primi ad amarci e rispettarci, per quello che siamo realmente, non possiamo aspettarci che siano altri a farlo. La più grande bestemmia è quella di vivere una vita a metà».
di Simone Cerciello
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TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°210
OTTOBRE 2020