I dati li conosciamo ormai tutti, ciò che sfugge a tanti è un’attenta analisi su quel che voto che sembra raccontare un’Italia divisa e in profonda emergenza.
AD URNE CHIUSE
E alla fine quel tanto sognato 40% non c’è stato, i 5 Stelle cadono nel tranello Rosatellum e non riescono ad acciuffare quella percentuale che gli avrebbe consegnato il Paese. Ma ciò faceva parte di quella bella illusione in cui Luigi Di Maio, forse, credeva davvero. La realtà però li premia comunque parecchio: prendono il 32,66% divenendo per la seconda volta consecutiva il primo partito, sfondano al Sud raggiungendo quote oltre il 40% e cominciano a rivendicare la loro opportunità di governare. Hanno raccolto i frutti di quel famoso “voto di protesta”; la loro forte campagna elettorale ha ripagato, il caos dei rimborsi non ha influito e sono stati furbi nello scansare argomenti scomodi come immigrazione, diritti ed antifascismo.
Il Centrodestra, fa strano sentirlo, ha un nuovo leader. Silvio Berlusconi depone parzialmente le armi e lascia il posto a Matteo Salvini, che con la Lega fa il 17,37%. Domina al Nord e comincia ad intravedere una sua possibile nomina come Premier. In giro la frase che ricorre è che questa “è una Lega diversa”, che probabilmente ha rivalutato determinate sue posizioni. L’odio verso il Sud si è placato (i voti cominciano a servire), ma resta quell’enorme ammasso di perenni discriminazioni e indifferenza; la giustifica ad Attilio Fontana che definì gli immigrati “un pericolo per la razza bianca”, lo “stop invasione”, la ruspa, il costante no ai diritti civili, le distanze mai prese da partiti neofascisti come Casapound e Forza Nuova. Magari è proprio questo ad alimentare la paura di una destra populista che continua a crescere in Europa ed ora anche in Italia, persino nel Mezzogiorno, dove i complimenti di Marine Le Pen all’elettorato silenziano come un gol di Higuain al San Paolo.
B. scende dal trono, Forza Italia è sotto più di tre punti percentuale dai cugini della Lega. Anche per loro è una risonante sconfitta. Il Cavaliere ha sempre affermato di vedere il suo partito di sicuro alla guida del centrodestra, ma ha anche detto che nel 2017 sono sbarcati in Italia 117 milioni di immigrati (una fuga di massa dall’Africa in pratica) e che lui è stato vittima della mafia.
Il Partito Democratico crolla andando sotto il 20%. Dopo le elezioni del 2013 e dopo il referendum Matteo Renzi si appresta a segnare la terza sconfitta della sua carriera politica. Scompare nelle sue roccaforti, una scomparsa anche consequenziale ai nomi delle liste, che ci stava costringendo a vedere Prodi votare a Bologna Pierferdinando Casini, ad esempio. Paga anche il conto di promesse non mantenute, dei residui di un mandato bocciato dal popolo italiano, ma pagano soprattutto i numerosi silenzi. L’inchiesta Bloody Money ha congelato il PD, facendolo entrare in uno stato d’ibernazione da cui non è ancora uscito. Le loro proposte sembrano allontanarsi sempre di più dall’elettorato smarrito nella ricerca di qualcosa di sinistra. A tal proposito va ricordato che alla sinistra del PD (LeU, Potere al Popolo, Partito Comunista e Per una Sinistra Rivoluzionaria) è stato raccolto un elettorato di 1 milione e 600mila cittadini. In crescita, seppur senza alcuna vera rappresentanza.


IL VOTO PARLANTE
Ciò che fa più riflettere del voto è la visione di un’Italia divisa a metà. La larghissima vittoria dei 5 Stelle a Sud torna a puntare i riflettori su un tema rimasto nei bassifondi dei programmi elettorali: la questione meridionale. La voglia di cambiamento è stata presa di forza dal M5S e, attenendoci ai risultati, sembra che il Sud abbia trovato in queste elezioni il suo comune punto di riferimento. Nel frattempo al Nord domina il centrodestra, Lega in primis. I decantati 6 milioni di occupati nel mezzogiorno non impressionano nessuno, soprattutto se consideriamo che sono 380 mila in meno al 2008, e se consideriamo che, secondo il Mattino, dal 2008 a 2014 il Sud ha perso 47,7 miliardi di Pil, 32 mila imprese e 600 mila posti di lavoro. E non è tutto qui. In un territorio in cui il potere criminale continua a ramificarsi e a fare affari con la malapolitica, dove dilaga la corruzione e dove la sanità non è garantita, il voto al Movimento sarà sembrata una boccata d’ossigeno per il popolo meridionale. Hanno focalizzato la loro attenzione verso quella che per loro è un’alternativa trasparente, perché non prendiamoci in giro, quello che qui stupisce del Movimento è che loro sembrerebbero essere persone trasparenti. Come se ci meravigliassimo che esiste una classe politica che non lucra su tutto ciò che è fonte di ricchezza, e dove se c’è uno che lo fa allora quello va fuori, e non difeso. La verità non è mai una marchetta e sarebbe da ipocriti non riconoscere che il M5S ha oltrepassato il 40% al Sud (nelle periferie anche oltre il 60%) proprio per queste ragioni. Ed è in questi territori che si è consumata la profonda disfatta del centrosinistra, dove candidati ed azioni hanno ricevuto in cambio una fiducia ai minimi.
IL VOTO AI TEMPI DEL ROSATELLUM
Qui c’è poco da scrivere, come vi raccontiamo da un bel po’ a questa parte. Per l’ennesima volta una legge elettorale non fa ciò che dovrebbe fare una legge elettorale: garantire la governabilità. Il M5S è per la seconda volta il primo partito, ma nel nostro Bel Paese il primo partito non governa. Ad essere avanti è la coalizione di centrodestra, ma gli mancano 56 deputati dopo aver totalizzato 260 seggi. Ai 5 Stelle ne mancano circa 95. Insomma: uno scenario chiaro non c’è, ma è proprio questo a diventare cruciale per il partito di Di Maio. Salvini ha detto di dover tener conto del Movimento, mentre Borghi ha annunciato anche una possibile apertura. Ovviamente una mano tesa del M5S alla Lega sarebbe un suicidio politico che porterà i 5 Stelle a perdere gran parte dell’elettorato; d’altro canto Di Maio ribadisce di voler discutere punto per punto con le altre forze politiche per cercare il sostegno, una frase ambigua che lascia grosse perplessità e dubbi sulla credibilità del Movimento, aspettarsi che il centrodestra voti i vari punti del programma del M5S è una narrazione che sembra essere illusoria e buonista. Un’altra opzione sarebbe un nuovo governo di scopo al fine di formulare una legge elettorale decente e andarsela a giocare alla prossima tornata, tra 6 mesi o un anno. Magari tornerebbe più forte?
RENZI E LE QUASIDIMISSIONI
Già, alla fine Renzi ha rassegnato le sue solite quasidimissioni. Dopo aver fatto ciò dà tutte le direttive al PD su come muoversi, decide il no al traghettatore, posticipa le dimissioni al nuovo Congresso e fa presupporre un esponente dei suoi come candidati alle primarie. I mea culpa si contano sulle dita della mano, continua a pensare a quel dannato “No” del referendum. Sì, parlo del no alla modifica della Carta Costituzionale apportata dal PD con Verdini. Continua a ribadire che con lui l’Italia andava meglio, sventola in alto i numeri degli occupati e dello spread, mentre, in Italia, il suo ministro dell’Interno precipita, anche se salvato dal paracadute del proporzionale. Si fa vanto della vittoria incontrastata a Scandicci, mentre, in Italia, l’elettorato non ha dimenticato l’incostituzionalità dell’Italicum, del silenzio su De Luca, del Patto del Nazareno, degli inciuci, di Verdini e dell’imposizione di questo abominevole Rosatellum.
Ed è così che quell’Italia che gli fece toccare il 40% alle europee, oggi, ha scelto un’altra strada. Mi chiedo ora quanto sarà giusto attaccare questo popolo e quanto sarà difficile comprenderlo e dargli delle vere armi democratiche.
di Antonio Casaccio