“Dammi un bacio”
“No!”
“Ti ho detto dammi un bacio!”
“No, non te lo voglio dare”
“E perché?”
“E perché … perché non me lo sai chiedere”
“Come sarebbe a dire non te lo so chiedere? Vi sono dei modi? Dei comportamenti che bisogna tenere? Stare in piedi sull’attenti? Fermo? Muto? Con gli occhi chiusi? O correrti incontro? Urlarlo “Daammmiiii un bacioooo”? Oppure correrti dietro e con affanno “puff.. puff… Fermati mi manca il fiato … dammi un bacio”? Inseguirti a girotondo al tavolo della cucina dove non si capisce chi è avanti e chi è dietro inciampare cadere precipitandoti addosso e solo, dopo, con gli occhi chiedertelo “Dammi un bacio”? O noleggiare un aereo e volarti intorno stendendo un drappo con lettere scritte in font times new roman di colore rosso “D-A-M-M-I—U-N-B-A-C-I-O” sullo sfondo di un cielo blu cobalto? O sfidare la fisica e cercare io stesso il volo di un uccello e con un megafono annunciarti le mie volontà “Dammi un bacio”?
Oppure scriverlo su un bigliettino bianco rettangolare, senza orlature, con inchiostro blu “Dammi un bacio” e non firmarlo, perché sai che non può essere un altro, e non datarlo, perché sai che non vi può essere un tempo distinto da un altro, e non indicare un luogo, perché sai che è ovunque? Oppure chiedertelo in tutte le lingue del mondo? Oppure inventarla una lingua?
O, ancora, chiedertelo balbettando o con i gesti dei muti? O chiederti “Dammi un bacio” battendo le mani come le pinne una foca? O muovendo a scatti la testa come il tic di un gallo? O ripetertelo ogni secondo come il tic tac di un orologio? O proclamandolo a reti unificate come un amministratore di condominio? Oppure chiedertelo una volta con rabbia e la volta successiva con dolcezza, la terza con stizza e la quarta con rimpianto?
“Qual è la regola? E dov’è che l’ho infranta? Come si chiede un bacio?”
“Dipende”
“Da che cosa dipende?”
“Dalle intenzioni”
“Dalle intenzioni? Un bacio non è un’intenzione, un bacio è contatto di labbra, è frenesia di labbra e corpo tra uomo e donna”
“Non è così, il bacio è anche il contatto delle labbra con una foto, con un’immagine, con un oggetto che ti evoca rimpianti, amore e mancanza e quel bacio accorcia le distanze. Il bacio si può dare in mille modi diversi, in qualsiasi luogo ed a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma la regola del bacio è l’intenzione, se l’intenzione è sbagliata la regola è infranta. Ecco il bacio è il modo in cui tu passi le tue intenzioni a chi le riceve.
Anche in un amore violento e molesto vi è il contatto di labbra e labbra e labbra e corpo ma la regola è infranta e quello non è un bacio.”
Vi sono periodi nel corso della storia dell’umanità in cui gli uomini non hanno buone intenzioni, perdono i buoni propositi e non sanno più baciare, a volte capita. Ed è un problema grosso perché si vive male, tutti vivono male. Il bacio con la regola infranta è come uno schiaffo in faccia. Mettiti nei panni di chi lo riceve. È ben disposto a riceverlo, si porge per accoglierlo questo bacio ed, invece, paff gli arriva uno schiaffo, paff paff due schiaffi paff paff paff tre schiaffi insomma un massacro. “Fermati! Fermati! Mi fai male!” Ma chi lo dà pensa che sta facendo una cosa bella – una sfilza di baci, cosa c’è di più bello – e che il destinatario o la destinataria è scombinata dalla tempesta delle effusioni. A volte si può anche morire.”
Il 9 marzo 1562 a Napoli, proprio per questo, furono vietati i baci perché furono definiti “atti violenti”. Una bella mattina il banditore:
“Attenzione! Popolazione! Gli atti violenti esercitati contro l’altrui pudicizia, che non consistono nella congiunzione carnale, tutti indistintamente noverano nella categoria degli stupri tentati“.
La filosofia del divieto era più o meno questa:
a) un bacio sbagliato è un atto violento
b) un atto violento (anche senza congiunzione carnale) è uno stupro tentato.
Il divieto però funzionò perché più di mille pene corporali e anni di carcere i napoletani e chi si trovava a Napoli in quel periodo cominciarono a studiare le regole dei baci per non infrangerle più.
Studiarono con applicazione costante, giorno e notte, nei giorni feriali ed in quelli festivi, davanti al mare di Mergellina e sulla collina di Capodimonte. La lezione si basava sullo studio delle buone intenzioni e poi i baci belli uscivano da soli. Qualcuno migliorava subito, altri erano un po’ più lenti degli altri. Ma l’impegno massimo lo mettevano tutti. Nobili, clero e popolo basso.
Qualcuno, per non dimenticare, ripeteva a memoria quello che imparava sui “baci delle buone intenzioni” e, quelli che sapevano farlo, a scriverlo. E così nacquero le canzoni. Le canzoni? Un promemoria su come si bacia veramente.
“Hai capito?”
“Si, ho capito. E mo’ dammi un bacio”
TRATTO DA Magazine Informare N° 191
Marzo 2019