Se ti lasci andare, le cose “andano”. Vanno da sole, perché vanno così, c’è poco da fare.
Mi sono ritagliata questo spazio per prenderci un caffè, lasciarci andare e fare quattro chiacchiere, un pour parler settimanale che spezza la routine della notizia (perché bisogna ammetterlo: la notizia crea routine).
Quindi? Quanto zucchero? Amaro? Mamma mia, signora mì, e che curaggio! Io non le sopporto tutte queste accortenze: lo zucchero, la dieta, il diabete. Per carità, nulla in contrario eh, però come si fa?! Mica ve lo godete veramente il caffè.
Il caffè è quella cosa che ti deve stravolgere il palato, ti deve sorprendere. Se voi state a pensare a quanto zucchero, e il dolcificante, e il monouso, che sorpresa è? Ma a parte questo, signora mia, le cose andano, andano così. Ieri sera stavo pensando a quanti luoghi comuni dobbiamo subire noi femmine, signò. E siamo isteriche, incontentabili, incontestabili e rompi scatole. Veniamo condannate già quando al quinto mese di gravidanza nostra madre fa l’ecografia strutturale, papà scopre che siamo femmine, ed il coro dell’allegra famigliola esclama “A’ femmena porta spese”. A prescindere costiamo di più, e certo.
Però la volete sapere una cosa? A parte questo fatto che portiamo spese, dico.
Signò, onestamente… ma onestamente: ci sono luoghi comuni che dicono la verità.
No signò, dovete essere onesta e non dovete fare l’ipocrita. Lo sapete che a me non mi è mai piaciuta l’ipocrisia. Piace molto agli altri, purtroppo, ma non a me. Gesù, io non lo so: che ci sta di male a dire le cose come stanno? Poi quando vengono dette, puntualmente, non vi stanno bene. E jamme bell, signò. Io già mi sto trattenendo nel non utilizzare il linguaggio colorito che uso di solito; e quello sapete che cos’è? Se sei femmina le parolacce non si dicono, diventiamo brutte, sporche e malvagie. Questo qua è un luogo comune, un costume comune che però non rientra nei veri: le parolacce si devono dire, sono liberatorie ed enfatizzano. Ma comunque non divaghiamo signò, voi lo volete sapere quanto ci sta di vero nei luoghi comuni? E mo ve lo dico io.
Quella che sto per spiegarvi è la teoria dell’universo. Signò, e che rerite a fa’? Quello veramente è.
Allora: la donna ha sempre ragione, in tutti gli universi possibili. E dicite ca nun è over mo?!
Signora mia, ma anche io rispondo sempre “se riconosco l’errore lo dico che non ho ragione”. Questa è la risposta Doc, quella automatica che parte subito.
Il problema è che noi proprio non ce la facciamo: se ci danno torto, per prima cosa andiamo in scena con lo sgomento, quell’espressione tipica del “ma chist over fa?”. Poi sentiamo odore di frittura, perché a friggere è una specie di membrana che la donna possiede sottopelle: riusciamo a sentire proprio lo “sfriccicariccio” di tutti i liquidi che possediamo all’interno del nostro corpo, soprattutto nella zona “palmo della mano”. Provate signò, guardate qua: “Non hai ragione, stai sbagliando, non è così, non è come dici tu”. Lo sentite il calore leggero leggero? Quell’istinto che vi porta a riempirvi la bocca con un sospiro colmo di irritazione per poi sputare fuori la frase “Vedi che è come dico io”, come se non stesse accadendo nient’altro nel mondo: l’unica cosa che sta succedendo è che qualcuno vi sta dando torto.
Nell’immediato, tutto quello che è in contraddizione con la nostra tesi diventa a prescindere falso o illogico, o addirittura non può esistere (voce del verbo “no ma nun esist’ proprio”), e se l’interlocutore che ci sta dando torto è maschio, quest’ultimo diventa, sempre a prescindere, incoerente.
E mo, signora mia, mi dovete seguire bene in questo discorso perché qua le cose andano, andano veloce, si aggrovigliano e vi perdete:
La coerenza non esiste, o meglio, la sua condizione di esistenza la stabilisce sempre la donna. Che cos’è la coerenza signò? Si tocca? Si mangia? chi l’ha vista mai: la coerenza la conosciamo solo quando ci fa comodo a noi.
Supponiamo che in una discussione, vostro marito si voglia appellare a questo fantomatico principio di coerenza: la donna, ha ragione anche se quello che dice non si fonda affatto sul principio di coerenza. Quindi questa, non esiste. Vuoto totale. La coerenza nella realtà dei fatti è falsa ed indimostrabile, esempio pratico:
Uomo: «È incoerente quello che dici, non ha senso».
Donna: «Ma sì che ha senso! Ma poi mi parli tu di coerenza? Sei incoerente da quando sei nato tu, è il tuo concepimento ad essere incoerente».
Il vuoto della coerenza però noi lo dobbiamo sempre colmare, allora come tappabuchi abbiamo la frase “tu non sei femmina e non capisci” che, unita al concetto di base “l’uomo ha sempre torto” crea effettivamente la bomba ad orologeria.
E sì signò, l’uomo ha sempre torto, o no? Sempre così va a finire. Vogliamo ragionare per logica? Guardate che alla logica non si sfugge eh!?
Per logica, l’uomo potrebbe pure avere ragione qualche volta, ma la donna ha sempre ragione. “Sempre” è sempre, “qualche volta” invece è una misura temporale ovviamente non compresa nel sempre, eh, Gesù.
Al massimo potrebbe avere ragione in un universo di soli uomini, ma la donna ha ragione in tutti gli universi possibili quindi che ragioniamo a fare, signò. È come dico io (lo vedete? Non ce la facciamo proprio).
Solo noi possiamo contraddire noi stesse, agire contro noi stesse, ci “ciacchiamo” e ci medichiamo da sole ogni giorno e tutte le volte che ci pare e piace.
Poi magari lo riconosciamo pure l’errore… la risposta iniziale che diamo, quella del “se riconosco l’errore lo dico che ho torto” non è una bugia: è tutta questione di tempistica, ci mettiamo tempo ad uscire quando un povero cristo ci aspetta fuori casa, figuriamoci ad appurare che non abbiamo ragione. Però c’è sempre quel minuto dove dobbiamo pensare “ma come è possibile?” perché nun ce sta nient a fa, signò: non ce la facciamo.
E che ce vulite fa’ signora mia, simme accussì. Pensiamo pure a questi poveri martiri però (guardate qua la mente umana che brutti scherzi che fa, l’assonanza di martiri con mariti fa rabbrividire): ho visto uomini che discutendo con una donna, si stringevano volontariamente la cravatta. Quelli magari l’unica cosa che volevano fare era dire una parola, ma una parola soltanto di fronte alla narrazione incessante della donna che crede di avere ragione è come il caffè ristretto che vi bevete voi: “e cherè ‘ccà? Solo questo? Questo è tutto?”
Non potendo comunicare verbalmente allora per forza devono esternare in qualche modo il guaio che gli stiamo facendo passare. E si stringono la cravatta. Poi si sentono male e noi come le cosiddette “fedelissime compagne imparentate con l’organo riproduttivo femminile” ci facciamo il quarto d’ora di panico e collera. Perché la donna distrugge l’equilibrio psichico, ma ama.
Che avete detto? Non ho ragione? Lo so signò, era un Pour Parler, ve l’ho detto. Sono le cose che andano.
…
Però signò ja, ma come fate a dire che non è così? (Niente, non ce la facciamo proprio)
di Daniela Russo