Il popolo italiano pare scisso in due gruppi dalle opposte opinioni.
Da un lato, c’è chi ritiene che il nostro Paese sia diviso in due macro categorie: la prima in cui rientrano gli “onesti” su cui ricade a fatica la maggior parte del carico fiscale, e l’altra rappresentata dai “furbi” che mettono in atto strategie che consentono di ridurre o addirittura eludere il carico del fisco. La seconda fazione è caratterizzata da un atteggiamento quasi assolutorio che vede in tutti l’essere po’ evasori, e l’evasore non è da considerare come un delinquente, ma come un soggetto che non fa altro che tenere per sé una ricchezza che di fatto già gli appartiene e si è guadagnato. Entrambi i pensieri possono sotto alcuni punti di vista trovare una giustificazione. Gli “indignati” lamentano una scarsa presenza di controlli, le sanzioni spesso irrisorie e la corruzione sempre più dilagante. Non volendoci aggregare a nessun gruppo, è tristemente simpatico notare come i pensieri, cause ed effetti riguardanti l’evasione sembrano essere quasi identiche negli ultimi trent’anni. Di contro importanti cambiamenti sono stati invece apportati alle tecniche di evasione, che risultano più sofisticate ed evolute, e agli strumenti di cui lo Stato si avvale per contrastarle.
Ecco, quindi, che i dati Istat fanno emerge sia una quota di evasione molto alta ma anche una quota relativamente elevata di sommerso economico, che diminuisce sensibilmente il gettito contributivo. L’economia sommersa è definita come la produzione di beni e servizi che, pur essendo legale, sfugge ad una verifica diretta poiché connessa al fenomeno della frode fiscale e contributiva. L’entità del sommerso economico ha raggiunto valori particolarmente elevati nel 2008, con una forbice compresa tra 255 e 275 miliardi di euro, ossia tra il 16,3% e il 17,5% del Pil.
L’evasione fiscale sottrae risorse che sono indispensabili per effettuare spese pubbliche di fondamentale importanza; è socialmente inefficiente. La sottrazione e riduzione di risorse finanziarie destinata allo Stato, ha come conseguenza anche l’indebitamento pubblico.
Nel caso italiano questa relazione appare evidentissima. Fino alla fine degli anni Settanta i conti pubblici italiani si presentano in buono stato, la spesa pubblica in rapporto agli altri Paesi europei più sviluppati è bassa così come il debito pubblico rispetto al Pil. Agli inizi degli Ottanta la situazione cambia radicalmente, si verifica un incremento sia della spesa pubblica che cresce dal 30,3% del 1980 al 40,8% sia del rapporto debito pubblico/Pil che aumenta dal 60 al 100%. Ciò dimostra come la crescita del debito pubblico sia fortemente influenzata dagli alti tassi di evasione che limitano lo Stato in via diretta sottraendogli risorse e in via indiretta costringendolo a indebitarsi per compiere le sue funzioni.
È opportuno far presente che si può parlare di evasione anche in riferimento al concetto di concorrenza sleale.
Infatti, se due imprenditori operano nel medesimo settore e con caratteristiche economiche simili, ma solo uno dei due paga ciò che deve, risulterà essere vittima della concorrenza sleale da parte dell’altro imprenditore. Secondo una ricerca effettuata dalla Sose (Società per gli Studi di Settore) il 60% dei contribuenti incongrui si trova nel settore del commercio al dettaglio per confezioni, il 35% nel trasporto su merci e nella metà dei settori presi in considerazione la quota dei contribuenti che è in linea con le richieste degli studi di settore non arriva neppure al 50%. Quindi, anche in questo senso l’evasione risulta patologica, dato che va a colpire il corretto funzionamento dell’economia di mercato e va a minare la veridicità delle informazioni rese pubbliche, aumentando o diminuendo la redditività reale, sulle quali si basano eventuali investimenti anche esteri.
In Italia il problema principale non è da ricondurre, essenzialmente, ad una mancanza delle sanzioni, ma ad un’esigua qualità e ad una scarsa frequenza dei controlli che non si distribuiscono in maniera omogenea sul territorio nazionale. Un ulteriore fattore incentivante l’evasione è considerato il livello molto elevato delle aliquote, dunque della pressione fiscale. L’ultimo fattore da cui dipende l’evasione è riferito alla poco chiara situazione normativa del sistema tributario italiano, il quale risulta formato da un ingente numero di imposte che, oltre a rendere le attività di controllo difficili, non facilita la conoscenza, la corretta informazione e l’adempimento al pagamento delle imposte dell’individuo contribuente. È senza dubbio evidente che, però di fondo, in Italia c’è la manca di un senso civico consolidato sul tema dell’evasione fiscale. La tassazione viene spesso percepita come una riduzione della libertà individuale alla quale non fa seguito un ritorno adeguato in termini di beni e servizi pubblici agli adempimenti. Compito dello Stato dovrebbe essere quello di avviare una tassazione congrua e soprattutto di evitare fenomeni paralleli all’evasione, come l’elusione, che determinano una riduzione economica dell’Erario.
di Salvatore Sardella