“C’è sempre il mare”, da poter ammirare: intervista all’autrice Filomena Cesaro
Chi non ha mai perso se stesso almeno una volta nella vita? Per alcuni, magari, la parola perdita non sembra del tutto idonea al contesto delle proprie esperienze perché sentono di non essersi mai realmente trovati. L’insegnamento, inciso sul portone del tempio di Apollo a Delfi “γνῶϑι σεαυτόν” (Conosci te stesso), è davvero qualcosa di difficile da risolvere: chi conosce davvero se stesso fin negli antri più oscuri e ignoti del proprio inconscio? Qual è la via che porta all’ideale perfetto di noi stessi?
Spesso, con una punta di presunzione tipicamente borghese ci ergiamo a detentori integri di grandi valori morali quando ci troviamo a commentare altrui errori e spesso succede che la vita, di per sé sempre dinamica, ci porta ad essere poi i carnefici della medesima colpa e le vittime della morale accusatrice. Qualcuno parla di Karma, per me si chiama semplicemente Vita. Una vita piena, in cui errori e successi personali sono segnali che indicano la prosecuzione del proprio cammino e forse solo nell’ultimo giorno della nostra esistenza, guardandoci alle spalle, guardando il cammino fatto, conosceremo realmente chi siamo stati.
Filomena Cesaro col suo primo romanzo dal titolo “C’è sempre il mare”, 2022, racconta una storia di errori e di sbagli, di gioie violente che hanno violenta fine e della lentezza risanatrice che le succede. Emma è una ragazza di una famiglia dell’alta borghesia napoletana, intraprendente e indipendente. Emma è a capo della redazione di un quotidiano della città, da sempre rispettabile e affidabile: eredità di famiglia che il padre ha messo in piedi spinto dalla propria passione per un giornalismo onesto e forte dei propri sacrifici e la propria caparbietà.
Emma ammira il padre e condivide la sua onestà intellettuale. Sceglie di seguire le orme di famiglia perché sa che anche lei ama quel lavoro e potrà un giorno superare il limite segnato da suo padre. Emma vorrebbe essere guardata con quell’ammirazione con la quale lei guarda il padre.
Ma un errore, una colpa, segna la sua vicenda di professionista e la condanna ad affogare in un “mare di sensi di colpa”. Emma perderà la sua vitalità e cesserà di essere chi era: «Esistono persone che non esistono. Non vivono, sono completamente mangiate dai propri errori e a loro volta si nutrono di essi…».
Sarà l’incontro con Nora, una giovane speaker innamorata della vita, a riportarla per un momento a galla; a farle riassaggiare il sapore di una vita leggera fatta di piccole gioie e di piccoli momenti spontanei. Ma Emma saprà confessare a Nora i suoi errori? E anche se ci riuscisse potrebbe Nora guardarla allo stesso modo o l’illusione della sua persona si infrangerebbe in infiniti pezzi di menzogne? Noi dobbiamo conoscere noi stessi ma gli altri sanno farlo? Noi siamo in grado di scusare i nostri errori ma gli altri sapranno comprenderci?
Filomena, Emma è una persona che ha perso sé stessa o non si è mai ritrovata?
«Ho sempre immaginato Emma come una persona inconsapevole, intrappolata nell’immagine perfetta di se, nel giudizio degli altri, in relazioni tossiche che però non la costringono all’impegno. Emma si perde nel momento esatto in cui si rende conto che tutto questo non basta».
L’incubo più grande di Emma è aver compromesso la sua integrità o aver perso il contatto con la sua famiglia? Ma queste due cose forse in qualche modo coincidono?
«Assolutamente coincidono. Per Emma la sua famiglia, in particolare il padre, è uno specchio, fin quando riesce a specchiarsi, ad apparire esattamente come è, conforme alla sua famiglia, lei si sente integra. Vedere poi quello specchio rompersi in mille irreparabili pezzi è sicuramente il suo più grande incubo, la rompe anche dentro, ed è proprio in quel momento che si sente persa, perché non sa più chi è realmente».
Nora stravolge la vita di Emma improvvisamente, senza neppure la necessità di conoscerla, come ci riesce?
«A volte dimentichiamo il potere che possono avere le persone nella nostra vita. Nora non fa nessun atto estremo, semplicemente crea per Emma uno spazio sicuro, l’aiuta a guardarsi dentro e a guardarsi fuori, a riconoscersi come persona in quanto se stessa e non legata all’immagine che vuole forzatamente dare di sé».
Che tipo di amore Nora insegna ad Emma?
«Esistono veramente tanti tipi di amore? Non lo so. Forse l’amore è uno e quello che cambia è l’oggetto di quell’amore. Nora di sicuro insegna ad Emma l’amore verso se stessa».
Emma e Nora condividono l’amore per la musica. Che valore ha la musica in questa storia e quale funzione svolge?
«La musica è un contenitore, è un’onda che accompagna e spiega, che parla al posto nostro, che vive di interpretazione, ad ognuno la sua. Nora la usa per parlare ad Emma, Emma la usa per parlare a se stessa. Per il lettore può diventare un’altra angolazione e dare più “rumore” alla storia».
Che cos’è il perdono nel romanzo?
«Il perdono è quello che Emma, inconsapevolmente, brama, desidera più di ogni altra cosa. Ma il perdono non nasce dal nulla, è quasi un concetto utopico nel romanzo, perché è sopra ogni cosa accettazione dell’errore da parte dell’altro, è dimostrazione, è voglia di cambiamento e parte prima di tutto da se stessi. Il perdono non cancella, è consapevolezza reciproca che si può sbagliare e imparare da quell’errore».
E il mare che valore ha? Il suo moto instancabile di avanzare e di rifluire cosa vuole insegnarci?
«Il mare ci insegna la perseveranza, l’arte del non arrendersi, di infrangersi e ricomporsi in un moto costante. Il mare è divenire. Nora lo insegna ad Emma, il mare lo insegna a tutti».
Gioie violente hanno violenta fine?
«Ho usato questa citazione di Shakespeare come un mantra durante tutta la stesura del romanzo. In passato spesso mi sono innamorata di immagini, personaggi in maniera violenta, ho provato a scrivere e poi quella gioia finiva così, era effimera. Leggere e ripetermi quella frase mi ha aiutato a non compiere lo stesso errore, mi sono appassionata a questa storia lentamente e questo mi ha permesso di portarla a compimento. In fondo anche Emma è così, sempre alla ricerca di gioie violente; ma è solo imparando dalla lentezza delle cose, dal tempo, che ritroverà veramente se stessa».