Augusto Di Meo - Photo credit Gabriele Arenare

Augusto Di Meo, testimone di ingiustizia

Antonio Casaccio 05/04/2018
Updated 2019/11/12 at 8:28 PM
7 Minuti per la lettura
Augusto Di Meo - Photo credit Gabriele Arenare

Il Ministero dell’Interno ha incredibilmente rigettato la richiesta di Augusto Di Meo, testimone oculare della morte di Don Peppe Diana avvenuta per volontà del clan dei casalesi, ad essere riconosciuto come vittima innocente della camorra. Nel più sentito sconforto per la notizia, abbiamo voluto dare ancora una volta la parola ad Augusto, unendoci alla sua denuncia.

«Non si trattava di un riconoscimento ad Augusto Di Meo – ci dice – ma era un riconoscimento a questo territorio». Quel 19 marzo del 1994, Augusto era con Don Peppe e vide tutta la drammatica scena dell’omicidio. A quel punto, mise in atto un’azione che avrebbe cambiato completamente la sua vita: Augusto denuncia. Per alcuni questo gesto potrebbe non essere così significativo, ma denunciare nel ’94 a Casal di Principe significava rompere un silenzio fittissimo. In quegli anni, il clan aveva il completo controllo del territorio e, molto spesso, della popolazione. E se ancora non è stata compresa l’importanza di quel gesto, pensate che da lì si ebbe il congelamento dell’ala stragista del clan, ripresentatasi solo anni dopo sotto il comando di Giuseppe Setola.

«Loro non considerano il danno che mi hanno fatto – afferma Augusto – sono stato delegittimato professionalmente, ho avuto diversi problemi di salute. Ho avuto la forza di denunciare grazie alla fede e agli insegnamenti ricevuti da don Diana. Non ho mai pensato a queste possibili conseguenze per me e per la mia famiglia che sono state veramente gravose, se contenstualizzate in quel periodo. Loro sono lo Stato, le Istituzioni. Già, perché proprio queste hanno assistito in silenzio ed inermi alle difficoltà che man mano ha dovuto vivere Augusto. Non ha mai avuto un tutor istituzionale, non gli sono mai stati dati sussidi per le cure mediche, non gli è stato mai proposto un percorso psicologico che lo potesse aiutare a vivere meglio. E dopo tutto ciò, il Ministero dell’Interno ha rigettato la richiesta di Augusto Di Meo ad essere riconosciuto come vittima innocente della camorra. Proprio lui che ha dovuto affrontare enormi difficoltà economiche e seri problemi di salute; mai avrebbe immaginato di vivere in una condizione di tale stress. Proprio lui che è stato minacciato e che è andato a testimoniare da uomo solo, emarginato, ma estremamente libero. Ovviamente c’è da precisare che “vittima della camorra” non è solo chi muore per mano di essa, ma anche chi incorre in quelle feroci difficoltà sopracitate. La richiesta di riconoscimento, infatti, è stata rigettata per scadenza dei termini.

«Questa richiesta andava fatta 3 mesi dopo la sentenza in Cassazione del processo sull’omicidio di Don Diana. Ma io non mi sono ripreso 24 anni dopo, come potevo fare un’istanza dopo tre mesi dalla fine del processo?». Dopo aver denunciato e messo in pericolo se stesso e la propria famiglia, Augusto Di Meo doveva ricordarsi di fare richiesta per un riconoscimento che gli spetterebbe di diritto. Ed è qui che lo Stato ha perso. Ha sprecato l’ennesima occasione per delegittimare il pensiero mafioso in territori difficili come Casal di Principe. Ha scelto il silenzio, gli impedimenti burocratici e ha preferito essere un coniglio bianco su sfondo bianco. Non è arrivato il sostegno istituzionale che emargina il senso di solitudine dei testimoni di giustizia. Ma il Ministero dell’Interno ci stupisce ulteriormente leggendo la notifica del rigetto, nella quale Augusto ci fa notare un particolare esilarante.

«Hanno scritto nella notifica che la famiglia di Don Diana è già stata risarcita. Ma cosa c’entro io con la famiglia di Don Diana?» Forse il Ministero non ha nemmeno ben colto che ciò che si trova a vivere Augusto non è in connessione causale con quello che succede alla famiglia di Don Diana. Lui ha testimoniato, ha denunciato ed ha fatto sì che dietro le sbarre ci fosse il vero esecutore materiale dell’omicidio.

«Non mi sono mai sentito aiutato. Io rifarei tutto da capo, ma così le cose non funzionano. Mi sento scoraggiato per l’ennesima volta, ma confido in personalità coraggiose che mi hanno dimostrato nuovamente il loro sostegno, parlo ad esempio del Dott. Cafiero De Raho (procuratore nazionale antimafia, ndr). Io, però, non mi fermo. Continuo a lottare ed ho già presentato ricorso con l’avvocato Giovanni Zara». Le parole di Augusto fanno percepire realmente il valore della denuncia. Nella sua impensabile storia c’è molta indignazione, come possiamo leggere anche nelle parole di Casa don Diana, la quale, per mezzo del suo presidente Valerio Taglione, ha voluto esprimerci il suo pensiero: «Dopo 24 anni pensavamo di poter scrivere la parola fine ad una storia che ha dell’incredibile fin dai primi accadimenti. Non riconoscere Augusto Di Meo vittima innocente della camorra vuol dire non solo rimarcare l’ingiusto destino di chi ha visto e non ha avuto timore, ma anche scoraggiare tutti coloro che potrebbero trovarsi in situazioni simili. Continueremo a lottare per Augusto in tutte le sedi opportune e necessarie, porteremo le 40mila firme raccolte con la sottoscrizione online al nuovo Ministro dell’Interno, sperando di poter incontrare la sensibilità ed il buon senso».

Testimoni di un’ingiustizia che si consuma tra i palazzi e la burocrazia, sintomo di uno Stato ancora lontano dai suoi territori e da coloro che hanno dato la loro vita per quell’atto d’amore che Don Diana ha sempre evocato nelle parole: non tacerò.

di Antonio Casaccio

Tratto da Informare n° 180 Aprile 2018

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