Otto anni di guerra civile in Siria. Otto anni in cui i media occidentali sono bombardati da foto e video incredibili, lì dove attacchi aerei sono all’ordine del giorno. Sono immagini che contribuiscono ad aumentare la generale sfiducia nell’umanità. Vergogna.
Restiamo inermi di fronte allo scempio (per molti vale il fatto che si tratti di racconti “a distanza” provenienti dall’altra parte del mondo, che poco intaccano la nostra quotidianità), mentre c’è un gruppo di volontari che passa totalmente inosservato nel loro tentativo di ridarcela, quella fiducia: i White Helmets, conosciuti anche come Syrian Civil Defence (Difesa civile siriana).
Ecco cosa ci ha raccontato il loro Media Office.
Qual è l’obiettivo dei WH?
«Siamo un’organizzazione umanitaria riconosciuta dalla Geneva Conventions. In Siria cerchiamo, per quanto ci è possibile, di avvertire i cittadini di eventuali pericoli; forniamo servizi medici, compreso il primo soccorso; provvediamo all’evacuazione della popolazione dalle aree in cui si stanno verificando attacchi; ci occupiamo del rilevamento e della marcatura di aree pericolose (come quelle con ordigni inesplosi); forniamo riparazioni di servizi pubblici indispensabili, alloggi e altre misure di sicurezza».
In che zona della Siria operate?
«Ci troviamo nelle aree di opposizione al regime (l’attuale presidente della Siria è Bashar al-Assad, ndr), poiché non siamo autorizzati ad agire in quelle da lui controllate, che cerca di ucciderci ogni volta che può. In alcuni casi, infatti, abbiamo avuto richieste di aiuto da civili proprio in queste determinate zone, ma se avessimo cercato di aiutarli, i soldati ci avrebbero sparato. Questo anche perché la speranza che portiamo alle comunità le aiuta a resistergli».
Circa 422 volontari sono stati costretti a fuggire. «Il regime siriano avanzò molto rapidamente nella parte meridionale della Siria e prese il controllo al confine con la Giordania, dove i White Helmets stavano fornendo aiuto ai civili», ci hanno spiegato «Molti furono arrestati e uccisi. L’unica opzione era contattare l’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ndr), che offrì ai nostri volontari un reinsediamento in diversi paesi, tra cui il Canada e la Germania».
I WH ricevono finanziamenti, attraverso la no-profit Mayday Rescue e la Chemonics, da diverse zone del mondo: Regno Unito, Olanda, Danimarca, Germania, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti. I fondi sono investiti in formazione e attrezzature. «I nostri donatori non controllano la missione della nostra organizzazione. Ci sostengono perché credono nei nostri stessi valori. Abbiamo anche avuto la fortuna di essere finanziati da migliaia di persone attraverso l’Hero Fund, un fondo che viene utilizzato per prendersi cura dei nostri volontari feriti e delle loro famiglie».
I White Helmets sono stati accusati di aver messo in scena attacchi chimici falsi nel tentativo di sollecitare l’intervento militare da parte occidentale in Siria. Qual è la verità?
«Questa è una strategia in corso da parte della Russia, che presenta dichiarazioni e affermazioni falsificate al Consiglio di sicurezza dell’ONU dal 2015. Quest’ultima, infatti, spera che queste accuse distraggano da ciò di cui il mondo dovrebbe parlare: la messa in salvo delle persone. Su questo vorrei precisare che la Russia, alleata col regime siriano, è responsabile degli attacchi e dei crimini di guerra».
Nonostante i mancati riconoscimenti, l’impegno dei WH è diretto anche verso le scuole. «Secondo i rapporti dell’UNICEF, gli oltre sette anni di guerra in Siria hanno messo fuori uso una scuola su tre. Il nostro lavoro è anche quello di reinserire i bambini nell’istruzione, rimuovendo le macerie e ripristinando il più possibile le strutture. Inoltre, dati i tempi relativamente più pacifici, stiamo costruendo e ripristinando parchi giochi, mentre i nostri centri per le donne conducono frequenti campagne di sensibilizzazione sul pericolo di resti bellici (ordigni inesplosi) e sui servizi igienici».
di Alessia Giocondo
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°193
MAGGIO 2019