La nostra epoca è prigioniera del tempo. La corsa all’occupazione ci degrada, la fretta di realizzarci ci sfianca, la lotta per il successo ci isola; nel mondo della rapidità e del consumo se non sei multitasking, sei inutile. Le ore sono organizzate minuto per minuto, il giorno è striminzito in appuntamenti sempre più numerosi, strizzato tra una scadenza e un’altra. Persino i bambini volano dalla scuola ad un corso e poi ad un altro ancora e girano come trottole tra sport vari e attività ludico-creative. La gestione del tempo nel secondo millennio è così compressa che a volte sarebbe necessaria una dilatazione spazio temporale per incastrare tutto alla perfezione. Il desiderio è quello di fare sempre di più, di essere attivi il più possibile, di vivere tutte le vite, come dice una canzone della scorsa estate.
Rallentiamo
Semplici frasi che potrebbero guidare ad una riflessione importante: rallentare, prendersi del tempo, il quale non va riempito come fosse una voragine nell’asfalto, e sentir scorrere i minuti che passano sulla propria pelle, recuperare l’idea che fare un passo indietro a volte è la chiave per stare avanti. Seneca, nel lontano I secolo d.C., lo aveva addirittura già capito. Coloro che corrono avanti e indietro senza posa, che si affannano, che sono sempre impegnati e non dispongono mai di un frammento libero di tempo da dedicare a qualcuno, men che meno a se stessi, li chiamava gli affaccendati, gli stolti. Occupare i propri giorni con mille azioni ripetute è solo un modo per sopravvivere distrattamente; più riempi e più svuoti, e non resta mai tempo per la vita interiore.
Cosa diceva Seneca?
“Muoiono magari ricchi e circondati da ogni bene, ma sono poveri dentro e non hanno che rimpianti”, scriveva Seneca, che non aveva certo visto Quarto Potere di Orson Welles, per ovvie questioni cronologiche, ma le sue idee erano alquanto lungimiranti. E non aveva visto neanche noi, cittadini del mondo globale, per i quali il tempo è unidirezionale: verso il futuro e oltre. Senonché, ospite inatteso all’inaugurazione del nuovo anno solare, bussa alla porta dell’onnipotenza consumistica un nemico evanescente, un invasore silenzioso, che sarebbe ontologicamente impossibile nominare, se non in modo arbitrario, data la sua assenza in presenza, tranne che a livello microscopico, un virus, covid-19 lo chiamano. La peggiore delle piaghe, dai tempi della Seconda Guerra mondiale, non è la contrazione di questa malattia, ma anzi la brutalità, per i più traumatica, di premere “pausa” e avere davanti a sé una sconfinata e temibile quantità di tempo libero, rinchiusi nelle propri abitazioni.
Siamo veramente liberi?
Molti denunciano indignati la repressione della propria libertà, quando in realtà bisognerebbe forse accostarsi per un attimo all’idea che la libertà risiede anche nella responsabilità che, in questo momento soprattutto, è essenziale assumersi per liberarsi del virulento nemico e rispettare l’Altro che con noi vive su questo pianeta. Tale emergenza, infatti, qualora ci fossimo momentaneamente illusi del contrario, riguarda proprio tutti e abbatte qualunque distinzione. Per coloro che, invece, lamentano la socialità e la vicinanza perduta, il paradosso è dietro l’angolo: la preferenza dei rapporti mediati dalla rete virtuale e l’occupazione compulsiva delle giornate a scapito dei rapporti de visu sarebbe infatti progredita tranquillamente se non fosse giunta la chiamata di una emergenza sanitaria. Sembrerebbe, inoltre, che l’autoreclusione abbia smascherato d’un colpo i difetti di un tempo che non lascia modo di stare con se stessi a livello profondo, al punto che la solitudine temporanea diventa una privazione intollerabile di quell’agire frenetico che ci caratterizza. Ecco allora che si ripresenta opportunamente quel pensiero dell’otium che tanto stava a cuore al già citato Seneca e che aveva un’importanza tale nella cultura antica, che non era concepita pratica sociale e pubblica, senza che ad essa seguisse una eguale dose di tempo libero da dedicare esclusivamente alla cura dell’anima.
Pertanto, forse sarebbe davvero utile e saggio imparare a vivere il tempo come solo nostro, a interiorizzarlo anziché spenderlo come una banconota bollente da consumare ed iniziare ad affannarci solo per ciò che davvero lo richiede. Quale momento migliore, se non questo, per capire che alle volte, fare di meno è in realtà fare molto di più.
di Lucrezia Varrella