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Violenze delle forze di occupazione israeliane: l’Ue resta a guardare

Redazione Informare 11/05/2021
Updated 2021/05/11 at 6:20 PM
5 Minuti per la lettura

Una società immobiliare, con a capo coloni israeliani, ha reclamato delle proprietà appartenute a famiglie ebraiche prima del 1948, dunque, antecedente alla nascita dello stato d’Israele. Le proprietà sono localizzate nel quartiere di Sheikh Jarrah, zona araba ad est di Gerusalemme occupata dal 1967 dall’esercito israeliano.

Cosa sta accadendo in questi giorni?

Queste proprietà attualmente appartengono ad alcune famiglie palestinesi, che ora subiscono sfratti su base legislativa israeliana discriminatoria e razzista. Tali sfratti, tali umiliazioni, vanno avanti da anni, con migliaia di arabi cacciati e sempre più coloni insediati. Da evidenziare la presenza e l’attività politico-militare dell’organizzazione di estrema destra israeliana, Lehava, che da tempo sta fomentando l’odio con i suoi slogan, uno fra tutti “morte agli arabi”.

La polizia israeliana, inoltre, ha iniziato a sparare granate verso i fedeli nella moschea di al-Aqsa, più di 300 i feriti. Il 10 maggio è stato il giorno di Gerusalemme, liberazione della parte araba della città. Più che liberazione, le voci dell’attivismo dalla Palestina, come Micol Sophie (attivista contro l’occupazione israeliana), parlano di “occupazione, razzista e discriminatoria dal 1967”.

La polizia israeliana, proprio nel giorno della liberazione, ha iniziato a sparare granate verso i fedeli nella moschea di Al-Aqsa. Sale a più di 300 la conta dei feriti. Il segretario generale dell’Onu si dice “profondamente preoccupato per le violenze nella Gerusalemme est occupata e per gli sgomberi delle famiglie palestinesi. Si esorta – nel prosieguo della nota – Israele a cessare le violenze, gli sfratti e le distruzioni con gli obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario. Le autorità israeliane devono esercitare massima moderazione e rispettare il diritto alla libertà di riunione pacifica”.
Sempre nella serata del 10 maggio è giunta ai media occidentali la notizia della morte di 20 palestinesi, fra cui 9 bambini.
L’Ue resta a guardare, la reazione dell’occidente

Nel frattempo, l’agenzia di stampa Nena News mette a confronto le varie risposte istituzionali dall’occidente. Di seguito vi mostriamo il report.

L’Unione europea resta congelata su una posizione super partes che finisce per tradursi nella tutela di chi opprime: “La violenza e l’incitamento sono inaccettabili e i perpetratori di ogni parte devono essere considerati responsabili – si legge in una nota dell’Alto rappresentante agli Affari esteri, giunta nel silenzio delle altre istituzioni – L’Ue chiede alle autorità di agire subito per calmare le tensioni a Gerusalemme”.

Andando oltreoceano, il presidente Biden si è finora mostrato apparentemente ondivago. La presidenza non ha messo in discussione nessuna delle decisioni incendiarie del predecessore Trump (da Gerusalemme capitale israeliana alla sovranità sul Golan siriano occupato) ma ha anche fatto uno sgarbo al premier israeliano Netanyahu andando a cercare il dialogo con l’Iran, forse memore dei rapporti gelidi che Bibi ebbe con Obama.

Il Dipartimento di Stato, però, con la portavoce del segretario di Stato Blinken ha espresso “grande preoccupazione” per le azioni israeliane e per «l’eventuale sgombero di famiglie palestinesi dai quartieri di Silwan e Sheikh Jarrah, molte delle quali vivono in quelle case da generazioni».

Parole che seguono alla denuncia di diversi parlamentari progressisti americani, tra cui lo Squad team, le deputate Rashida Tlaib (palestinese), Ilhan Omar, Alexandra Ocasio-Cortez e Cori Bush. Giovedì hanno fatto appello all’amministrazione perché “riaffermi il diritto internazionale e chieda la fine degli sgomberi illegali israeliani di palestinesi, della demolizione di case palestinesi e del furto di terre palestinesi”.
L’attivismo per i diritti umani come forma pura di comunicazione

La convivenza fra popoli a Gerusalemme fallisce miseramente quando vi sono palestinesi sfrattati, senza passaporti e residenti temporanei a casa propria. Nel caos di questi delicati giorni restano scolpite su pietra le parole della giovane Micol, equiparabili a frammenti di speranza: “Le rivolte vanno avanti da troppo tempo e ora, indipendentemente dall’appartenenza, dovremmo unirci e lottare in nome di un’unica battaglia, quella del rispetto dei diritti umani”.

di Matteo Giacca

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