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Vent’anni da Genova, un fil rouge che unisce generazioni

Redazione Informare 20/07/2021
Updated 2021/07/19 at 9:15 PM
9 Minuti per la lettura

Vent’anni da Genova, un fil rouge che unisce generazioni

I No-global iniziarono a percorrere le strade delle città d’America ed Europa dalla fine degli anni ’90. La loro lotta è stata per molti anni simbolo di una generazione che era a cavallo fra la fine della Guerra Fredda, la vittoria del blocco occidentale e un nuovo fenomeno socioeconomico: la globalizzazione. Ed è così che nacquero le prime fratture sociali fra classe dirigente e movimenti anticapitalistici.

Dagli Usa all’Europa, la nascita di un nuovo fermento

Le questioni maggiormente importanti con le quali questi movimenti nacquero erano: svolta ecologica e sostenibile del processo economico mondiale e lotta alle disuguaglianze economiche. In un certo senso, queste correnti possono tutt’ora definirsi antesignane di un moto generazionale che ora sta spaccando il mondo in due tra negazionisti della crisi climatica e portavoce dei movimenti ambientalisti, come la giovane svedese Greta Thunberg.

Ritornando agli anni fra il ’99 e il 2001, si parte dalle mobilitazioni di Seattle dove era prevista una riunione del Wto, Organizzazione Internazionale del Commercio, ed è da lì che prese piede man mano il popolo di Seattle, le quali istanze politiche porteranno poi alla creazione del movimento no global in marcia verso Genova.

Successivamente agli Usa, ricordiamo tra i momenti più significativi della lotta no global la manifestazione pochi mesi prima di Genova a Napoli, gestita in maniera indecorosa dalle forze dell’ordine con piani di ordine pubblico per nulla sufficienti a fronteggiare la giornata di proteste e che anticiperà le violenze di Genova. Fra Seattle e Napoli, però, come non menzionare la mobilitazione di Porto Alegre, di cui furono protagonisti Luiz Lula da Silva e il giornalista Bernard Cassen, che pronunciò la celebre frase “Un altro mondo è possibile”, slogan divenuto, oggi come allora, simbolo della mobilitazione ambientalista mondiale.

Genova 2001, cosa successe

A scegliere Genova per il G8 fu Massimo D’Alema, che nel 2000 era Primo ministro, ma a preparare gli onori di casa per i leader mondiali che venivano ospitati in Italia, fu proprio Silvio Berlusconi, il quale attraversava momenti duri per la sua carriera politica e che non voleva tradire le aspettative dei possibili alleati politici. Il Cavaliere non tenne conto di un piccolo grande particolare: Genova sotto il punto di vista della geografia urbana è una città molto particolare, le sue vie strette la rendono labirintica e non sono espressione ideale di una giornata all’insegna dell’ordine pubblico e della convivenza fra manifestanti e leader del G8.

La tre giorni si aprì con il social forum che organizzò una rappresentazione musicale con i 99 Posse e Manu Chao, i quali segnarono un inizio del tutto pacifista e allegro all’insegna del collettivismo.

Nonostante ciò, sentendo le voci della maggior parte dei militanti che avevano reso celebre l’ambiente socioculturale per le proteste degli anni 60 e gli anni 70 e ascoltando le voci dei presenti di allora, dando uno sguardo alla composizione delle forze dell’ordine, valutando le competenze dei superiori, c’era motivo di aver timore. Non a caso i Genovesi quel fine settimana decisero di fare gite fuori porta in famiglia.

La morte di Carlo Giuliani e le torture nella caserma Diaz

L’atto amaro di quella serie di giornate fu la morte di un ragazzo, Carlo Giuliani. La camionetta da dove arrivarono i colpi passò due volte sul corpo inerte del giovane, non una bensì due, smontate anche le accuse di avere un estintore in mano al momento del colpo: la pistola era stata puntata ad altezza uomo prima che Carlo prendesse in mano l’oggetto.  Le scuse del poliziotto a Sky TG24 continuano ad essere difficili da credere, l’elemento volontaristico dei due agenti è evidente.

Da lì ci fu una sorta di vuoto fra manifestanti e Carlo, tutti si allontanarono e capirono che quello era il punto di non ritorno di un’intera generazione, si era provato ad annientare l’intero moto coscienzioso di giovani, si era riusciti nel proprio intento. Dopo quel giorno sanguinoso, la carneficina non era ancora finita: l’apice venne raggiunto il giorno dopo, nell’ultimo momento di proteste, quando nelle caserme Diaz-Pertini avvenne la cosiddetta “macelleria messicana”, descritta come tale da uno degli agenti presenti durante le torture.

Viene considerato storiograficamente il momento più buio dello stato di diritto italiano. L’ obiettivo avrebbe dovuto essere stato il movimento Black Block, di pochi facinorosi, una piccola parte dell’intero corpo in movimento, il quale comprendeva i centri sociali, la stampa, i movimenti pacifisti e le associazioni culturali. La dicotomia fra quanto successe e quanto sarebbe dovuto accadere, fra il bersaglio reale e le vittime di quel giorno, si specchia addirittura in uno degli svarioni più grandi delle forze dell’ordine di quella sera: fu un giornalista di Bologna che scriveva per una testata di destra, quindi si trovava a raccontare un evento in territorio “rivale”, ma venne a tutti gli effetti picchiato fino a esser mandato in ospedale dai celerini.

In realtà, questo non è il solo punto più basso di quella serata, poiché molteplici sono le testimonianze delle torture della caserma Diaz, ragazze con il ciclo costrette a utilizzare fogli di giornale anziché carta igienica, ragazzi a cui venivano strappati gli orecchini in maniera violenta, umiliazioni e insulti fascisti nei confronti dei manifestanti. Numerose, altresì, sono state le denunce da parte di ragazze all’interno dei luoghi di tortura, che affermavano imperiosamente di essere state violentate dagli agenti di polizia, al grido di questi ultimi di frasi come “sporca comunista”, “1,2,3 viva viva Pinochet”.

Nella memoria e negli occhi di tutti quelli cresciuti in quel periodo resteranno due immagini fortissime: il corpo di Carlo Giuliani per terra e le immagini dei pestaggi e dei pianti all’esterno della caserma Diaz.

La lotta no global a cavallo tra gli anni ’70 e la generazione Fridays for Future

Quei giorni hanno rappresentato il più alto momento di fermenti politici fra giovani, subito dopo gli anni ’60-’70 della lotta studentesca e allo stesso il momento di più alte violenze della polizia che sembrano ancora non arrestarsi vent’anni dopo.

Quella generazione è stata spinta via dalle piazze con pratiche facinorose ed abusi di potere da parte della polizia italiana. Le condanne nei confronti dell’Italia, la responsabilità morale del nostro paese nei confronti di ciascuna delle vittime di quei giorni rappresenta un motivo di sdegno per tutti i cittadini che si riconoscono nei valori fondanti della costituzione.

Nonostante le pagine nere di quegli anni, il trauma causato a innumerevoli ragazzi e ragazze che difficilmente andrà via, è curioso pensare come, a distanza di esattamente 20 anni, quelle idee abbiamo accompagnato un’altra generazione, quella cresciuta con la pandemia da covid, il distanziamento sociale e l’incubo di non avere più un pianeta adatto ad ospitarla.

L’ecologismo, la critica al sistema capitalistico, la lotta alle disuguaglianze e la possibilità di immaginare “un altro mondo possibile” sono valori fondanti della generazione dei Fridays for Future.

In ultimo, tirando le somme, si potrebbe immaginare un emblematico passaggio di testimone, in mezzo al mare di fumogeni e alle torture di Genova, tra Carlo, i ragazzi della caserma e i figli dei giovani di Genova, manifesto di una collettività in rivolta contro gli assassini del pianeta Terra.

 

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