“Se per le donne va bene indossare abiti sartoriali maschili, perché non va bene per gli uomini indossare le gonne?”. È la domanda che Bernadine Morris, critica di moda del Times, si pose dopo il defilè di Jean Paul Gaultier nel 1984. La collezione presentata al tempo a Parigi era intitolata “Men in Skirts” e difatti, durante quella sfilata, i modelli sfoggiaro gonne di ogni colore e dimensione. Un vero e proprio scandalo per l’opinione pubblica di allora, ma anche oggi, a distanza di decenni, lo è.
Quella di Morris resta una domanda sospesa perché una mentalità chiusa popola un mondo con visioni ristrette. Quando le donne iniziarono a portare i pantaloni, ce n’è voluto di tempo prima che diventasse accettabile. In direzione opposta, la società fatica a visualizzare nella sfera della normalità gli uomini vestiti da donna. La storia, faro nella polverosa memoria umana, chiarirà il punto di rottura scatenante tra l’abbigliamento maschile e quello femminile.
Quando l’uomo indossava solo una toga
L’invenzione dei pantaloni si è avuta in seguito ma nell’antica Roma il corpo maschile veniva coperto da sole toghe come il corpo femminile. In alternativa c’erano tuniche formate da pezzi di stoffa, cuciti insieme e legati attorno al corpo. Il legionario romano invece indossava una tunica corta al ginocchio, in lino a maniche corte nei mesi caldi o di lana a maniche lunghe nei mesi freddi. Con la corazza sopra e una gonnella a listarelle in pelle misto ad elementi metallici.
Il modo di coprirsi era una pratica priva di differenze tra uomo e donna. La metodologia ed il tipo di capo erano identici. Al più poteva variare la qualità del tessuto, il colore, la lunghezza delle maniche o qualche accessorio per distinguere la classe sociale. Alla fine si trattava di un abito unico.
Le differenze nell’abbigliamento
In età vittoriana la moda maschile si allontana definitivamente da quella femminile. Uomini e donne si sono vestiti allo stesso modo per secoli per poi imporre un divario. Le cose sono iniziate a cambiare nel XIV secolo, con la fine del Medioevo. Se la donna iniziava ad esaltare busto e fianchi, l’uomo vestiva comodo per lavorare o andare a cavallo.
Si marca la differenza di genere dei ruoli assegnati da una società ancora priva dell’uguaglianza sociale. La donna in casa con i figli e l’uomo fuori a lavorare. Ad esclusione della nobiltà che continuò a sfoggiare gioielli, tacchi alti e trucco fino alla Rivoluzione Francese. Proprio tali elementi rimarcavano lo status di privilegiati. Quando poi nell’Ottocento la nobiltà cadde e la borghesia si fece spazio, tutti gli uomini dovettero iniziare a lavorare e quindi a disporre di un abbigliamento adeguato.
L’uomo sui tacchi
Oltre all’abbigliamento, anche la scelta della calzatura è impugnabile. La stessa scarpa, creata appositamente per l’uomo, oggi è giudicata male. L’elemento del tacco serviva per agganciare le staffe e dare stabilità quando si andava a cavallo. Nacque quindi per pura necessità nel II secolo d.C. in Persia. In seguito si diffuse intorno al 1300 in Ungheria e Turchia e verso la fine del XVI secolo giunse anche in Europa.
Iniziò a diventare elemento caratteristico dell’aristocrazia, perdendo l’uso originario ed essere riservato all’estetica della ricchezza maschile. Decretando simbolo di potere e ricchezza, divennero segno distintivo anche dei regnanti. Con il tempo la donna lo adottò per slanciare la figura e da allora non lo ha più lasciato.
L’uomo di oggi invece, che deve apparire virile per una società che non accetta la fluidità di genere, ha abbandonato quest’elemento. Solo grazie alla libertà d’espressione, grazie alle lotte per abbandonare stigmi nella moda e la mascolinità tossica, anche l’anticonvenzionalità nella moda si fa strada. Proprio sui tacchi si mostra Mark Bryan, ingegnere tedesco di 62 anni. Ha una moglie, tre figli ed un profilo Instagram dove sfoggia quotidianamente look in gonna e tacchi vertiginosi.
Il mondo maschile di oggi
La visione dell’uomo che veste abiti femminili o semplicemente li fa propri non esclude la mascolinità mainstream. Tuttavia la possibilità della modernità che porta a sovvertire il pensiero del racconto maschile che ci è stato trasmesso sin da piccoli è sempre esistita. È rimasta solo in disparte, isolata da una visibilità che poteva danneggiarla. Tutta colpa di vizi crudeli come il giudicare e in un nonnulla si arriva a ferire un diritto sacrosanto come la libertà d’essere in tutte le sfumature possibili.
Il mondo artistico è ricco di personaggi che con il proprio fare ed i propri stili hanno contribuito ad ammorbidire il pensiero dell’uomo coi pantaloni. Freddie Mercury, Prince, Elton John e molti altri hanno sdoganano determinati stereotipi di genere o hanno iniziato a parlare liberamente di sesso. Ne fa le veci a modo suo, in questi tempi recenti, Harry Styles che ama giocare con i propri look spesso presi in prestito dal guardaroba femminile.
Styles e come lui anche Sam Smith, si mostrano sopra e fuori dal palco con abiti privi di quel canone stabilito non si sa da chi. Sono d’ispirazione per i giovani che tentano di trovare la propria verve espressiva e lo fanno nonostante il possibile shitstorm. Se il problema è quello di vestire abiti non appartenenti alla linea ideologica del proprio sesso di riferimento si lotta contro l’autenticità.
La finzione porta alla repressione e questa a sua volta non genera nulla di buono. Apprezziamo la contemporaneità di questi tempi, ed allontaniamo via la paura che la “normalità” possa essere annientata da un mondo libero di celebrare il proprio corpo.