La NCO non è un ristorante come gli altri. E chi vive a Casal di Principe lo sa. La NCO innanzitutto sta per “Nuova Cucina Organizzata”, un acronimo che si prende gioco della camorra. Negli anni ’80, infatti, questa sigla significava terrore e morte.
Erano gli anni in cui la camorra cutoliana, la Nuova Camorra Organizzata appunto, padroneggiava per Napoli e non solo, lasciando dietro di sé una scia di sangue e devastazione. Ora NCO rappresenta un ristorante, una pizzeria, ma soprattutto un luogo in cui chi è “diverso” viene trattato come tutti gli altri, si sente parte di un sistema, di un’attività, di un’organizzazione.
Un luogo dove le differenze non sono motivo di discriminazione, ma una ricchezza da coltivare e proteggere. Come tutte le attività imprenditoriali, anche la NCO deve fare i conti con le difficoltà economiche portate in dote dal lungo lockdown varato dal Governo per tentare di arginare l’emergenza sanitaria da coronovirus. Ma la NCO non è una semplice attività imprenditoriale fine a sé stessa, e non va trattata come tale.
Presidente De Rosa, innanzitutto che cos’è la Nuova Cucina Organizzata e qual è la sua mission? Dopo il lockdown perché non avete deciso di riaprire come tutte le altre attività del mondo della ristorazione? Per poter sopravvivere e riaprire in futuro, è arrivato un aiuto da parte delle istituzioni?Se le premesse sono queste, il terzo settore rischia seriamente di scomparire?Se quindi lei avesse di fronte ora il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, cosa gli direbbe?
Presidente De Rosa, innanzitutto che cos’è la Nuova Cucina Organizzata e qual è la sua mission?
«La Nuova Cucina Organizzata è un ristorante/pizzeria sociale.
Ci differenziamo dalle altre attività imprenditoriali perché il nostro scopo non è fare profitto, ma includere persone svantaggiate in un percorso lavorativo che altrimenti difficilmente avrebbero occasione di fare. Attraverso l’affiancamento di persone normodotate, i ragazzi del nostro staff svolgono una vera e propria attività terapeutica fondamentale per loro».
Dopo il lockdown perché non avete deciso di riaprire come tutte le altre attività del mondo della ristorazione?
«Per lo scopo che persegue la NCO, ad oggi, non ha senso riaprire. I protocolli che ci vengono imposti sono incompatibili con il nostro tipo di attività. Sarebbe difficile spiegare al nostro cameriere Giuseppe, un ragazzo autistico, che deve rispettare la distanza di sicurezza di 1 metro dalle persone ad esempio. Il nostro è un progetto di inclusione e socialità, difficilmente può convivere con le misure di distanziamento sociale. Inoltre per noi, che non perseguiamo fini di lucro, ci risulta difficoltoso e antieconomico attenerci a tali disposizioni».
Per poter sopravvivere e riaprire in futuro, è arrivato un aiuto da parte delle istituzioni?
«Noi attualmente non abbiamo ricevuto nessun tipo di aiuto, a parte la Cassa Integrazione per i nostri dipendenti come per tutte le imprese costrette a fermarsi.
Ma oltre a questo nulla. Stiamo ancora aspettando la seconda tranche di pagamenti promessi dalla Regione Campania che, causa emergenza, si è arenata».
Se le premesse sono queste, il terzo settore rischia seriamente di scomparire?
«Sicuramente questo rischio c’è. Come ha detto anche Carlo Borgomeo, Presidente della Fondazione Con il Sud: se il Governo non interviene per aiutarci a prescindere dai progetti svolti, molte cooperative del terzo settore potrebbero scomparire.
Ci auguriamo che chi di dovere prenda consapevolezza di ciò per evitare che un tale patrimonio venga perso».
Se quindi lei avesse di fronte ora il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, cosa gli direbbe?
«Gli ricorderei sicuramente che il terzo settore è un elemento fondamentale sia per il tessuto sociale che per quello economico. Non può essere abbandonato a sé stesso. Se scompariamo noi, a perderci non è solo il mondo dell’associazionismo, ma l’intero Paese. Abbiamo bisogno di aiuti concreti per continuare a progettare per il futuro».
di Raffaele Ausiello