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Tommaso Primo e l’anima del sound Tropicalista Neopolitano

Redazione Informare 03/12/2021
Updated 2021/12/03 at 4:39 PM
9 Minuti per la lettura

Classe 1990, con quattro pubblicazioni all’attivo, Tommaso Primo è ormai uno degli artisti più apprezzati nella scena musicale napoletana. Lo abbiamo intervistato in occasione del suo concerto a Frattamaggiore nell’ambito della settima edizione della Festa “Mane e Mane”, organizzata dall’associazione “Il Cantiere”.

Indice
Come definiresti il tuo genere musicale?«Napoli è una città che ha tantissimi generi musicali, penso che sia uno dei posti al mondo. È una città dove trovi la musica napoletana classica, il neapolitan power di Pino Daniele, tutto quello che negli anni ‘80 apparteneva alle radici ma poi si è mescolato all’americano, il neomelodico, la trap, c’è addirittura la dub.Spesso i giornalisti non sanno come definirci, ma c’è una definizione che mi è stata data e che mi piace, quello di essere un Tropicalista Neopolitano. La scena di cui faccio parte suona folk, pop, siamo un movimento di Tropicalisti, una Napoli tropicale come direbbe Gaetano Veloso.Siamo persone che non inseguono il capitalismo musicale, parlano ancora in lingua napoletana, suonano gli strumenti acustici, siamo artisti legati alla metafisica del sentimento che la musica sa regalare».Allacciandomi a questo, ti chiedo: la scelta di cantare in Napoletano, pur sapendo di non poter raggiungere alcuni palcoscenici, è una scelta musicale e stilistica o di sentimento?«In realtà con la lingua napoletana ci sono artisti che hanno raggiunto palcoscenici enormi. Io non sono più un ragazzino di vent’anni che indossava un cappellino e una maglietta di Spiderman.Oggi non riesco a nascondere una certa maturità, canto in napoletano perché è la lingua che più riesce a farmi esprimere. In quel mondo del mainstream non ci entrerei comunque, anche se cantassi in italiano, perché cerco sempre di andare in direzione ostinata e contraria e poi perché non ho la physique du rôle per essere una pop star! Mi sento più un piccolo Spiderman di quartiere!»In “Fate, Sirene e Samurai”, il tuo primo album, parli di amore, di guerra, ma anche della tua parte più bambina, del tuo legame con gli Anime, in particolare con Dragonball. Ma perché proprio l’opera di Akira Toriyama?«Goku è uno dei personaggi che mi ha insegnato di più, uno dei miei miti: da piccolo avevo Pino (Daniele) e Goku. Lui è un personaggio che mi ha sempre colpito perché è stato scritto benissimo da Akira Toriyama, è una persona buona, altruista, che sa perdonare, ma soprattutto è una persona che non ha paura di chiedere aiuto agli altri, nonostante nella saga fosse il guerriero più grande. Goku mi ha emozionato e mi ha colpito per la sua umanità».Nel tuo secondo disco: 3103, invece, cambi un po’ sonorità, è un vero è proprio concept album con varie tematiche, cosa ha di diverso rispetto alla tua produzione precedente? «È un disco elettronico, ma con un’elettronica diversa che si ispira alle sigle dei cartoni animati americani anni 90. Non è ambientato tra i vicoli come Favola Nera, come Posillipo Interno 3, il mio primo EP, ma è ambientato nell’universo, su Kleper, tra Cassiopea ed Orione.Inoltre è un disco che non è stato capito perché raccontava di cose che non erano ancora successe. Forse è un disco che dovevo mettere da parte, perché poi è successo che due anni dopo la gente lo ha trovato all’avanguardia. Questo disco è un enorme premonizione. Penso alla canzone “Kabul”, dopo quello che è successo in Afganistan ho riascoltato quel brano e ho pensato a come sono nate quelle canzoni e come è possibile che siano state così premonitrici.Se pensiamo anche a Cassiopea, un altro brano di 3103, che parla del senso di claustrofobia che si prova a stare da solo su una navicella spaziale, e invece è successo a tutti, in maniera incredibile, con il lockdown».Invece con Favola Nera, il tuo ultimo disco, sei tornato nei vicoli! Racconti di figure emarginate, degli ultimi. Ma le favole di solito si raccontano ai bambini. Le tue favole nere invece a chi le racconteresti? Qual è la loro morale?«C’è una tradizione di favole napoletane molto macabre: quelle di Basile, ma anche alcune di Boccaccio ambientate a Napoli, tutte hanno un legame con le streghe, con la magia oscura.Il disco è una favola nera non per bambini, oggi loro ricevono una giusta educazione e ascoltano cose più utili alla loro formazioni, quindi è una storia rivolta ai grandi, fatta di personaggi veri, concreti, tangibili ed è sicuramente il disco meno favolistico che io abbia fatto, nonostante il nome. Ma era giusto così, per raccontare le storie di ragazze di periferia, delle prostitute di via argine, per raccontare delle storie amare ho usato una musica dolce».Nelle tue canzoni ci sono tante donne, molte hanno nomi come Viola, Laura, che ruolo ha la donna per te e nel tuo scrivere?«Io sono orfano di papà e sono cresciuto con due donne da quando ho 8 anni. Sono sempre rimasto affascinato da alcuni loro comportamenti, anche quando c’è una sorta di insicurezza, quando si sentono delle perdenti. Inoltre sono una persona che si innamora in maniera totale e quell’innamoramento sconvolge tutto il mio essere, entrano pezzi di stelle, l’universo, la metafisica, la poesia, quando arriva l’ispirazione è un qualcosa di molto forte perché ti sconvolge e ti spinge a scrivere, ti insegna delle cose del mondo che non hai ancora vissuto.Mi piace osservare le donne e cercare di capire anche quello che non vogliono dire, perché è vero che le donne non vogliono dire delle cose, che vogliono nascondere le loro incertezze. Sono dei piccoli microcosmi meravigliosi, ognuna diversa dall’altra ma con un filo che le accomuna, sono una cosa bellissima che non ho mai smesso di rincorrere, perché sono magiche».Abbiamo finalmente ripreso con la musica dal vivo, ma quali sono i tuoi prossimi obiettivi? Dove vuole arrivare Tommaso Primo con la sua musica e con le sue storie?«Vorrei arrivare a più persone possibili, perché so che nel mio mestiere io sono un operaio, vado a suonare sui palchi, lì dove mi chiamano. Anche stasera suono in un posto fortemente legato alla socialità, diverso da molti palchi che ho avuto la fortuna di calcare, per lanciare un messaggio che arriva diretto, che arriva alle persone che magari si trovano anche qui per caso.Io non ho la fortuna di avere grandi budget per la promozione, ma ho la fortuna di avere un grande pubblico e cerco sempre di suonare cose belle per loro e soprattutto ricevere delle cose da loro: sguardi, emozioni, racconti, è questa la vera bellezza della musica. Tante mamme e papà hanno chiamato le loro bambine Gioia, come una mia canzone, e penso che questo sia il vero valore della musica, al di là dei dischi venduti e dei premi, c’è qualcosa che entra nella sfera dell’anima ed è quella la conquista più grande».
Come definiresti il tuo genere musicale?
«Napoli è una città che ha tantissimi generi musicali, penso che sia uno dei posti al mondo. È una città dove trovi la musica napoletana classica, il neapolitan power di Pino Daniele, tutto quello che negli anni ‘80 apparteneva alle radici ma poi si è mescolato all’americano, il neomelodico, la trap, c’è addirittura la dub.
Spesso i giornalisti non sanno come definirci, ma c’è una definizione che mi è stata data e che mi piace, quello di essere un Tropicalista Neopolitano. La scena di cui faccio parte suona folk, pop, siamo un movimento di Tropicalisti, una Napoli tropicale come direbbe Gaetano Veloso.
Siamo persone che non inseguono il capitalismo musicale, parlano ancora in lingua napoletana, suonano gli strumenti acustici, siamo artisti legati alla metafisica del sentimento che la musica sa regalare».
Allacciandomi a questo, ti chiedo: la scelta di cantare in Napoletano, pur sapendo di non poter raggiungere alcuni palcoscenici, è una scelta musicale e stilistica o di sentimento?
«In realtà con la lingua napoletana ci sono artisti che hanno raggiunto palcoscenici enormi. Io non sono più un ragazzino di vent’anni che indossava un cappellino e una maglietta di Spiderman.
Oggi non riesco a nascondere una certa maturità, canto in napoletano perché è la lingua che più riesce a farmi esprimere. In quel mondo del mainstream non ci entrerei comunque, anche se cantassi in italiano, perché cerco sempre di andare in direzione ostinata e contraria e poi perché non ho la physique du rôle per essere una pop star! Mi sento più un piccolo Spiderman di quartiere!»
In “Fate, Sirene e Samurai”, il tuo primo album, parli di amore, di guerra, ma anche della tua parte più bambina, del tuo legame con gli Anime, in particolare con Dragonball. Ma perché proprio l’opera di Akira Toriyama?
«Goku è uno dei personaggi che mi ha insegnato di più, uno dei miei miti: da piccolo avevo Pino (Daniele) e Goku. Lui è un personaggio che mi ha sempre colpito perché è stato scritto benissimo da Akira Toriyama, è una persona buona, altruista, che sa perdonare, ma soprattutto è una persona che non ha paura di chiedere aiuto agli altri, nonostante nella saga fosse il guerriero più grande. Goku mi ha emozionato e mi ha colpito per la sua umanità».
Nel tuo secondo disco: 3103, invece, cambi un po’ sonorità, è un vero è proprio concept album con varie tematiche, cosa ha di diverso rispetto alla tua produzione precedente?
«È un disco elettronico, ma con un’elettronica diversa che si ispira alle sigle dei cartoni animati americani anni 90. Non è ambientato tra i vicoli come Favola Nera, come Posillipo Interno 3, il mio primo EP, ma è ambientato nell’universo, su Kleper, tra Cassiopea ed Orione.
Inoltre è un disco che non è stato capito perché raccontava di cose che non erano ancora successe. Forse è un disco che dovevo mettere da parte, perché poi è successo che due anni dopo la gente lo ha trovato all’avanguardia. Questo disco è un enorme premonizione. Penso alla canzone “Kabul”, dopo quello che è successo in Afganistan ho riascoltato quel brano e ho pensato a come sono nate quelle canzoni e come è possibile che siano state così premonitrici.
Se pensiamo anche a Cassiopea, un altro brano di 3103, che parla del senso di claustrofobia che si prova a stare da solo su una navicella spaziale, e invece è successo a tutti, in maniera incredibile, con il lockdown».
Invece con Favola Nera, il tuo ultimo disco, sei tornato nei vicoli! Racconti di figure emarginate, degli ultimi. Ma le favole di solito si raccontano ai bambini. Le tue favole nere invece a chi le racconteresti? Qual è la loro morale?
«C’è una tradizione di favole napoletane molto macabre: quelle di Basile, ma anche alcune di Boccaccio ambientate a Napoli, tutte hanno un legame con le streghe, con la magia oscura.
Il disco è una favola nera non per bambini, oggi loro ricevono una giusta educazione e ascoltano cose più utili alla loro formazioni, quindi è una storia rivolta ai grandi, fatta di personaggi veri, concreti, tangibili ed è sicuramente il disco meno favolistico che io abbia fatto, nonostante il nome. Ma era giusto così, per raccontare le storie di ragazze di periferia, delle prostitute di via argine, per raccontare delle storie amare ho usato una musica dolce».
Nelle tue canzoni ci sono tante donne, molte hanno nomi come Viola, Laura, che ruolo ha la donna per te e nel tuo scrivere?
«Io sono orfano di papà e sono cresciuto con due donne da quando ho 8 anni. Sono sempre rimasto affascinato da alcuni loro comportamenti, anche quando c’è una sorta di insicurezza, quando si sentono delle perdenti. Inoltre sono una persona che si innamora in maniera totale e quell’innamoramento sconvolge tutto il mio essere, entrano pezzi di stelle, l’universo, la metafisica, la poesia, quando arriva l’ispirazione è un qualcosa di molto forte perché ti sconvolge e ti spinge a scrivere, ti insegna delle cose del mondo che non hai ancora vissuto.
Mi piace osservare le donne e cercare di capire anche quello che non vogliono dire, perché è vero che le donne non vogliono dire delle cose, che vogliono nascondere le loro incertezze. Sono dei piccoli microcosmi meravigliosi, ognuna diversa dall’altra ma con un filo che le accomuna, sono una cosa bellissima che non ho mai smesso di rincorrere, perché sono magiche».
Abbiamo finalmente ripreso con la musica dal vivo, ma quali sono i tuoi prossimi obiettivi? Dove vuole arrivare Tommaso Primo con la sua musica e con le sue storie?
«Vorrei arrivare a più persone possibili, perché so che nel mio mestiere io sono un operaio, vado a suonare sui palchi, lì dove mi chiamano. Anche stasera suono in un posto fortemente legato alla socialità, diverso da molti palchi che ho avuto la fortuna di calcare, per lanciare un messaggio che arriva diretto, che arriva alle persone che magari si trovano anche qui per caso.
Io non ho la fortuna di avere grandi budget per la promozione, ma ho la fortuna di avere un grande pubblico e cerco sempre di suonare cose belle per loro e soprattutto ricevere delle cose da loro: sguardi, emozioni, racconti, è questa la vera bellezza della musica. Tante mamme e papà hanno chiamato le loro bambine Gioia, come una mia canzone, e penso che questo sia il vero valore della musica, al di là dei dischi venduti e dei premi, c’è qualcosa che entra nella sfera dell’anima ed è quella la conquista più grande».

di Filomena Cesaro

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE

N°224 –  DICEMBRE 2021

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