Erano gli anni in cui in Sicilia c’era la guerra alla mafia. Nello Scavo cresceva tra testate nucleari nella base di Comiso e i missili di Sigonella quando per la prima volta si rese conto che si viveva in un contesto di guerra senza accorgercene. Ed è stato quasi in maniera del tutto naturale che ha così incominciato ad essere corrispondente di crisi umanitarie per l’Avvenire. Nel 2010 si occupa per la prima volta di stupri usati come armi non convenzionali nei conflitti armati. Una serie di dati studiati riportava in modo chiaro che si trattava di un sistema programmato e organizzato di violenze.
Perché i media non ne parlano?
«All’inizio della guerra c’è stato un grande problema. La responsabile per i diritti umani in Ucraina, che è stata successivamente cacciata da Zelensky, gonfiava le cifre delle vittime di stupro. Tant’è che io per primo non riportavo mai i numeri e le dichiarazioni di questo ufficio. Mi sembravano sballati e questa cosa qui ha fatto perdere di credibilità l’intero argomento. È per questo che molti oggi vanno cauti su questo tema, anche per paura di essere arruolati inconsapevolmente in una propaganda ucraina».
Esiste una dinamica che differenzia gli stupri come fatto in sé dagli stupri come arma di guerra?
«Sì, la fascia oraria è un tema importante nelle dinamiche di guerra. Se gli stupri avvengono tutti durante la libera uscita dei soldati, questa è certamente una dinamica di guerra, ma non fa parte del combattimento nel corso della giornata. Invece, se gli stupri avvengono in qualsiasi fascia oraria allora questo vuol dire che c’è un ordine ben preciso. “Andate in giro, prendete quante più donne possibili, ammazzate i mariti o fateli assistere come atto di terrorismo e create situazioni di questo tipo”».
È necessario capire se lo scopo era in qualche modo forzare un interrogatorio, oppure se la violenza fine ad ucciderla doveva essere così e basta…
«Quando andiamo in posti dove ci sono le fosse comuni e assistiamo all’estrazione dei corpi, se trovi una donna con una bottiglia di birra tra le gambe non c’è bisogno della perizia di un medico. E, di queste cose, in Ucraina se ne sono viste tante. Il problema dal punto di vista della medicina legale è capire se si trattava di una collaborazionista ucraina, oppure se era una ragazza qualsiasi.
La sostanza non cambia, però una cosa è la violenza commessa a scopo di tortura per ottenere informazioni, quindi è un aggravante della tortura, e un’altra cosa è lo stupro fine a sé stesso nei confronti di una donna che non aveva informazioni da fornire, ma serviva fare quella cosa lì perché bisognava “dare l’esempio agli altri”. A Izjum, ad esempio, stavano in un centro dove le finestre erano aperte quando venivano torturate le persone. In modo che tutti quanti nella città potessero capire cosa voleva dire opporsi ai russi».
Rituali diffusi
La commissione di inchiesta ONU in Ucraina ha confermato che gli stupri valgono come arma di guerra. Il fatto che siano avvenuti in luoghi distanti tra loro e reiterati nel tempo dimostra che c’è una volontà specifica dello stato maggiore Russo. Non solo di tollerare ma addirittura di incoraggiare queste violazioni dei diritti umani.
«Quando è diventato di dominio pubblico ciò che è accaduto a Bucha, grazie alle testimonianze di diverse donne, quello che ci aspettavamo era abbastanza semplice. Se questi stupri sono “tollerati” da Putin, ma non è stato dato nessun ordine preciso di commetterli, una volta che tutto il mondo ne parla si cercherà di placare, fermare e contrastare il fenomeno. Quello che è avvenuto, invece, non è esattamente come ce lo aspettavamo: i fatti documentati almeno fino a gennaio 2023 mostrano che i casi sono continuati, ritroviamo anche casi di stupro di gruppo commessi dalle forze russe».
Questo cosa vuol dire?
«Nonostante fosse di dominio pubblico la notizia di questi abusi si è continuato a perpetrarli. A questo punto non si può più parlare di azioni commesse in maniera indipendente dai soldati. Si parla di un ordine preciso da parte dello Stato maggiore: “Andate e approfittatene perché ci serve per terrorizzare la popolazione e per dimostrare il massimo disprezzo che ne abbiamo».
Nella cornice di questo contesto la Corte penale internazionale persegue lo stupro come arma di guerra non convenzionale. Quando però quest’ultima interviene in Paesi che non sono membri dello statuto di Roma gli viene dato un quadro giuridico entro cui delimitare la loro azione. L’ONU dipende in gran parte dal consiglio di sicurezza, non è autonoma nelle sue azioni. È per questo che molto spesso si ritrova in contesti dove avvengono negazioni dei diritti umani. Ritrovandosi ad aver “le mani legate” e non poter agire.
L’esempio pratico degli stupri
Facciamo un esempio pratico: «In Afghanistan una cosa molto brutta che succede ancora in alcune aree, sono gli abusi da parte dei combattenti talebani sui bambini maschi. Durante un combattimento dei soldati americani avevano ricevuto l’ordine di sostenere le milizie afghane contro i talebani. Riuscirono a vincere la battaglia. Ma il loro compito a quel punto non era proteggere la popolazione civile dagli abusi che avrebbero commesso gli stessi alleati. Una notte dopo che i miliziani, insieme agli americani, riuscirono ad espugnare i talebani da un villaggio, vennero presi due bambini e portati in caserma. Forze speciali americane sentendo i bambini urlare intervennero, rischiando di essere portati davanti alla Corte marziale. Questo perché il loro gesto non rientrava tra le regole di ingaggio che ti dicono cosa si può fare e cosa no».
I processi ci saranno, ma tutti avranno quello che gli spetta?
L’Ucraina, in questo contesto, rappresenta un caso particolare. Sappiamo come stanno le cose, ma le uniche testimonianze che ci vengono sono dalle vittime, e non anche dai carnefici. Acclarate queste dinamiche sotto un punto di vista giudiziario, i processi non possono svolgersi nell’ambito di un contesto penale in contumacia. L’alternativa sarebbe istituire un processo internazionale Speciale: la Corte penale dell’Aja si dimostra abbastanza disponibile a far sì che questo accada. Il processo sarebbe istituito dai Paesi “forti” in questo momento e quindi sarebbe la NATO a fare da tribunale internazionale. Ma qui ci si pone dei limiti: i Paesi NATO non sono del tutto esenti da dinamiche storiche che li vedono macchiarsi di alcuni reati…
«La domanda è: sarebbe disposta la NATO a perseguire lo stupro come arma di guerra quando c’è il rischio che se si affermasse questo principio salterebbero fuori Paesi del mondo che potrebbero dire “questo l’avete fatto anche a casa nostra”, rientrando in problema di volontà politica…».
Secondo i rapporti ONU si legge che gli stupri sono commessi in una fascia di età che varia dai 4 agli 82 anni di età. In questo contesto è evidente che stiamo parlando di stupri con aggravante di pedofilia. Nel diritto internazionale non esistono articoli specifici che ci parlano del reato di pedofilia commesso in guerra. Si deve fare un’operazione sommando una serie di articoli per cui si mettere lo stupro in aggiunta ai reati sui minori. Sperando, in questo ragionamento, che il tribunale accolga tale ulteriore accusa da parte della Russia. «La guerra in Ucraina sta dimostrando che ci sono talmente tante lacune nel diritto internazionale e i passi avanti che sono stati svolti finora comunque non sono sufficienti».