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“Storie di Napoli”: raccontare le ricchezze della città con i social

Marco Cutillo 05/05/2021
Updated 2021/05/05 at 5:00 PM
5 Minuti per la lettura

Napoli è una città fascinosa che affabula i turisti, ma anche suoi abitanti, da tempo immemore. Come spesso capita ai luoghi dalla storia millenaria, per diminuirne la complessità della comprensione, Napoli è stata ridotta ad una serie di loghi comuni. Non se ne conosce la natura vera, intima. Ed è qui che entrano in gioco i ragazzi di Storie di Napoli (li trovate su Instagram e non solo).

Indice
Come nasce l’idea di Storie di Napoli?Dove trovi/trovate le storie da raccontare?«Le storie ti rincorrono, sono loro a trovare te. Letteralmente. Emblematico è il caso di una notte di qualche anno fa (sono abbastanza gufo, scrivo sempre in orari notturni!) per riposarmi volevo giocare un po’ con la Playstation. Accendo la TV e, mentre mi appresto ad accendere la console, sento la parola “…studiò a Napoli”. Si accendono le antenne. Fermo tutto, apro l’app notes del cellulare e scopro così la storia di Ancel Keys, il papà americano della Dieta Mediterranea. E così, alle due e mezza di notte, fino alle quattro meno un quarto, mi ritrovo a prendere appunti per cominciare le ricerche il giorno dopo».Il covid vi ha messo in difficoltà?«Paradossalmente è stato un’opportunità perché abbiamo registrato il più grande balzo in avanti in termini di risultati. E soprattutto mi ha portato alla risoluzione che ha trasformato Storie di Napoli da gioco a impresa digitale. Ritrovarci chiusi in casa, a marzo 2020, ha portato tutti a varie riflessioni: c’è chi ha lasciato il gruppo ed è andato a lavorare, chi invece ha capito che voleva giusto continuare per passione. Io invece ho capito che il futuro che sognavo era esattamente davanti ai miei occhi da 7 anni.Storie di Napoli non lo consideravo come un futuro possibile perché tutti mi dicevano “che bella passione, ma poi chi ti dà la certezza dello stipendio?”. Aggiungi l’elemento culturale, che per l’opinione pubblica è cosa no profit, e capisci che agli occhi di tutti era un progetto fallito in partenza. Invece il covid ci ha fatto fare un balzo avanti di un ventennio in termini di approccio con il mondo informatico. Abbiamo però molta strada da fare se pensi che ancora oggi, quando si parla di impresa digitale, ancora le persone mi dicono: “…che bella passione, e poi che lavoro fai?”».

Dal 2014 sono impegnati a raccontare l’anima della città partenopea, riportando alla luce gli aneddoti sommersi dalla polvere accumulatasi gli anni. Del progetto ci parlerà Federico Quagliuolo, uno dei membri fondatori del gruppo, nonché grande appassionato del territorio e delle sue leggende.

Come nasce l’idea di Storie di Napoli?

«Storie di Napoli nasce per gioco e per passione nel 2014. Eravamo un gruppo di amici del liceo che, nel weekend, andava in giro per la città a far fotografie, esplorando posti abbandonati o quartieri fuori dai classici percorsi turistici, nei quali spesso si auto-confinano anche gli stessi napoletani. Cominciammo così a scoprire cose che ci sembravano incredibili: dalla Torre del Palasciano al Tempio della Scorziata, arrivando al Vallone di San Rocco, oppure penso ai borghi nascosti del Vomero o al fascino doloroso del Cristo Spezzato di San Carlo all’Arena.

Gli amici ci cominciavano a chiedere curiosità, altri ci commissionavano vere e proprie esplorazioni. E così, al netto di Wikipedia, ci chiedevamo come fosse possibile che le notizie sui luoghi visitati erano tutte confinate in libri, in persone spesso inarrivabili ai più o in biblioteche difficili da raggiungere.

Il senso di Storie di Napoli è la divulgazione: vogliamo costruire quel ponte che ancora oggi, nel 2021, separa il linguaggio della cultura da quello digitale: noi esploriamo, studiamo e impariamo cose nuove ogni volta che usciamo di casa o parliamo con qualcuno. E poi raccontiamo tutto sul nostro sito. Alla fine dei tre fondatori sono rimasto solo io, mentre nel corso del tempo si sono avvicendate una cinquantina di persone fra disegnatori, scrittori e fotografi. Oggi siamo 20».

Dove trovi/trovate le storie da raccontare?
«Le storie ti rincorrono, sono loro a trovare te. Letteralmente. Emblematico è il caso di una notte di qualche anno fa (sono abbastanza gufo, scrivo sempre in orari notturni!) per riposarmi volevo giocare un po’ con la Playstation. Accendo la TV e, mentre mi appresto ad accendere la console, sento la parola “…studiò a Napoli”. Si accendono le antenne. Fermo tutto, apro l’app notes del cellulare e scopro così la storia di Ancel Keys, il papà americano della Dieta Mediterranea. E così, alle due e mezza di notte, fino alle quattro meno un quarto, mi ritrovo a prendere appunti per cominciare le ricerche il giorno dopo».
Il covid vi ha messo in difficoltà?
«Paradossalmente è stato un’opportunità perché abbiamo registrato il più grande balzo in avanti in termini di risultati. E soprattutto mi ha portato alla risoluzione che ha trasformato Storie di Napoli da gioco a impresa digitale. Ritrovarci chiusi in casa, a marzo 2020, ha portato tutti a varie riflessioni: c’è chi ha lasciato il gruppo ed è andato a lavorare, chi invece ha capito che voleva giusto continuare per passione. Io invece ho capito che il futuro che sognavo era esattamente davanti ai miei occhi da 7 anni.
Storie di Napoli non lo consideravo come un futuro possibile perché tutti mi dicevano “che bella passione, ma poi chi ti dà la certezza dello stipendio?”. Aggiungi l’elemento culturale, che per l’opinione pubblica è cosa no profit, e capisci che agli occhi di tutti era un progetto fallito in partenza. Invece il covid ci ha fatto fare un balzo avanti di un ventennio in termini di approccio con il mondo informatico. Abbiamo però molta strada da fare se pensi che ancora oggi, quando si parla di impresa digitale, ancora le persone mi dicono: “…che bella passione, e poi che lavoro fai?”».

di Marco Cutillo

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°217

MAGGIO 2021

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