informareonline-sonia-bergamasco-dal-teatro-di-strehler-al-contemporaneo

Sonia Bergamasco: dal Teatro di Strehler al contemporaneo

Luisa Del Prete 02/03/2022
Updated 2022/03/02 at 4:05 PM
11 Minuti per la lettura

Sonia Bergamasco: dal Teatro di Strehler al contemporaneo

Dal Teatro di Giorgio Strehler e Carmelo Bene, al Cinema di Giuseppe Bertolucci e Marco Tullio Giordana, Sonia Bergamasco è una delle attrici più affermate in Italia. Vincitrice di numerosi riconoscimenti, è un artista che spazia in diversi campi: dai film agli spettacoli teatrali, alle fiction fino ad arrivare a ideazioni, regia ed opere liriche. Ritorna sul palcoscenico nei panni di Martha, la protagonista femminile del celebre dramma teatrale di Edward Albee “Chi ha paura di Virginia Woolf?” per la regia di Antonio Latella. 

Da dove nasce questo spettacolo e come avete reagito voi attori nel dover interpretare dei personaggi con caratteri così spigolosi come quelli presenti in scena?

«È stata una proposta di Antonio Latella che risale a due anni fa e che purtroppo è stata rimandata a causa del lockdown e di tutti i problemi che abbiamo vissuto come collettività. Già conoscevo Antonio, ci siamo incontrati anni fa quando iniziò la sua carriera come attore, lavorando ad uno spettacolo di Massimo Castri, “La trilogia della villeggiatura”. Poi, nel corso degli anni, ci siamo sfiorati varie volte quando lui aveva già ormai intrapreso la sua carriera da regista e finalmente è arrivato questo felice incontro, in campo comune, con “Chi ha paura di Virginia Woolf?”.

Alla mia prima rilettura di Martha, ho capito che potevo avvicinarmi a lei, cercare di comprenderla, entrare nel suo mondo ed ho sentito che, con Antonio, questo era possibile. Inoltre, lui si è circondato di altri tre attori con cui io lavoro in grande armonia e questo è fondamentale per un testo e per un gioco di scena del genere. Parlo di “gioco” perché è al centro dell’opera: il gioco masochistico, sadico, perverso, infantile, puro e malato. Ed è sul gioco che Antonio ha lavorato».

informareonline-sonia-bergamasco-dal-teatro-di-strehler-al-contemporaneo

Il tuo personaggio è volubile e allo stesso tempo molto forte e difficile da capire; quali sono stati i momenti in cui è stato più difficile essere Martha?

«In Martha sono sprofondata: quello che abbiamo vissuto insieme è stata una progressiva immersione in questo labirinto. L’ultima parte del terzo atto, “L’esorcismo”, è rimasta a lungo aperta. Lì siamo coinvolti direttamente io e Vinicio Marchioni ed avviene qualcosa da cui non si torna indietro: si uccide questa storia, questo figlio immaginario, e si parte da una nuova vita o da una nuova solitudine.

Questo passaggio, anche per Antonio, è stato a lungo aperto per la delicatezza del processo: tutta la nottata converge a quel punto ed è molto importante. È un qualcosa che non si può costruire, bisogna cercare di attraversarlo. Dunque, non avevamo il finale ben chiaro, ma ci siamo dati coraggio a vicenda, abbiamo avuto fiducia ed è successo qualcosa. Ogni sera, sul palcoscenico, viviamo la magia di avere a che fare con uno spazio scenico bellissimo: che ha degli elementi realistici, ma con forme di astrazione.

Come, ad esempio, le pareti: è come una stanza dei sogni in cui agiscono questi personaggi. Ad ogni replica entro e lascio che le cose accadano con una struttura fortissima su cui abbiamo lavorato senza costruzione, ma lasciando fluire questo grande testo di Edward Albee. Una dramma con uno spazio di realismo che poi schizza verso una zona onirica, surreale, folle che è quella che precede il finale e che solleva la situazione».

Tu hai studiato con Giorgio Strehler ed hai ricevuto le basi del grande teatro di regia. Cosa resta di quel teatro?

«Il grande teatro di regia è la triade Strehler-Ronconi-Castri. Io non ho lavorato con Ronconi, anche se l’ho conosciuto bene, ma ho lavorato con Strehler e Castri. Di questa triade, Ronconi è stato il regista che più è riuscito ad attraversare il secolo e a mediare nel corso degli anni in maniera propositiva e geniale. Dei tre era quello che aveva una visione più larga e potente del Teatro nuovo.

Morti loro, come figure di riferimento, io sento un dato di novità nel rapporto che c’è di scambio tra regista e attore. Mi spiego: l’attore della seconda metà del Novecento era un attore che si metteva al servizio della visione registica, mentre oggi l’attore, che si impegna per un Teatro forte, è un attore-autore. Ad esempio, con Antonio c’è stato un rapporto di scambio dal primo giorno di prova; cosa che non sarebbe stata possibile con Strehler, Ronconi o Castri.

Questo tipo di rapporto era una cosa voluta sia da lui che da me. Dopo un lungo apprendistato da attrice, ho iniziato anche a lavorare in proprio e cercare una mia strada: pensando a testi e personaggi per me, rubando anche alla letteratura. Ho avuto un rifiuto per la visione che schiacciava l’immaginario dell’attore ed ho sentito che era il momento giusto di rischiare e provare. E così, dopo molti anni, sono tornata a lavorare con registi in una maniera nuova, rispetto a prima.

Tornare adesso è qualcosa che sento come arricchente: ogni sera allenarmi a questo gioco di squadra è una magia e mi nutro di questo. Tutto ciò è stato possibile proprio per questa visione più aperta. Ovviamente, dipende anche dagli attori. Una visione del genere non si può dare ad un attore pigro che a Teatro non si pone sulla scena con una propria visione; egli è condannato ad aspettare qualcosa dall’esterno che può arrivare e non arrivare».

Questo scambio di cui parli e che non è avvenuto nel Teatro della seconda metà del Novecento, per Strehler/Ronconi è stato un limite?

«Penso che ci siano dei processi che devono avere il loro corso. L’Italia è stata nel mondo la patria della grandissima tradizione attoriale. Partendo dalla fine dell’Ottocento/inizio Novecento con i capocomici che erano gli “imprenditori” del Teatro, quelli che facevano tutto dal tagliare i testi, all’aspetto economico, alla scena e regia. Per poi passare alla seconda metà del Novecento in cui nasce la figura del “regista” fino alla concezione attuale. È una naturale evoluzione della storia, delle idee e dell’arte e quindi adesso c’è una reazione».

informareonline-sonia-bergamasco-dal-teatro-di-strehler-al-contemporaneo

Negli ultimi tempi vediamo un Teatro che resta sempre compatto nella sua essenza rispetto al Cinema che invece sta iniziando a svilupparsi su altre piattaforme e ad essere fruibile non più principalmente nelle sale, ma soprattutto su piattaforme digitali. Per te che sei un’attrice sia di teatro che di cinema, questa evoluzione dove ci porterà?

«Il rapporto del “qui e ora” che si stabilisce in una sala teatrale, in un luogo in cui delle persone assistono a qualcosa che avviene in quel momento: questa forma di ritualità non potrà morire. Tanto più in un momento come questo che ci ha fatto attraversare un non-tempo di distacco, di separazione.

C’è una fortissima motivazione: il pubblico che viene per vedere uno spettacolo di tre ore è un pubblico che ha scelto e che lo vuole davvero. Questa energia forte rimbalza su di noi in una maniera assurda: ed io sento ancora più forte la bellezza e la necessità del teatro. A teatro respiriamo insieme la storia. Senza nulla togliere al cinema che era già in sofferenza da prima della pandemia con la digitalizzazione.

Era un processo già in atto, quello delle sale, che è stato solo accelerato dalla pandemia. È come se fosse un periodo di transizione».

Un ricordo particolare sul set o sul palcoscenico che ti è rimasto nel cuore?

«Ti parlo di Giuseppe Bertolucci: è stato un mio amico, maestro, una persona che ho amato profondamente. Eravamo vicini di casa quando mi ero trasferita a Roma per vivere con mio marito, Fabrizio Gifuni, e ci siamo conosciuti in farmacia quando lui stava cercando l’attrice del suo nuovo film.

Io avevo i capelli corti perché avevo appena finito di lavorare al “Pinocchio” con Carmelo Bene e lui rimase molto colpito dalla mia figura e mi propose il suo film. Il set de “L’amore probabilmente” è stato per me una grande avventura ed una palestra di libertà espressiva».

Hai progetti futuri?

«Un film documentario: sono alle prime stesure ed è un progetto a cui sto lavorando a lungo. Sto scrivendo un libro e poi riprenderemo sicuramente questo spettacolo. Ho intenzione di continuare col Teatro, sempre, e di continuare con il Cinema, se ci sono le storie e le occasioni giuste».

ph. Brunella Giolivo e Gianmarco Chieregato

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE

N°227 –  MARZO 2022

Condividi questo Articolo
Lascia un Commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *