
Lo scorso anno, proprio in questo periodo, ci fu l’indignazione mondiale nei confronti dell’atrocità israeliana dopo gli eventi di Sheikh Jarrah e la conseguente escalation sulla striscia di Gaza.
Anche quest’anno, proprio nei giorni di Ramadan, ci sono state continue tensioni tra le forze israeliane e i civili palestinesi sul luogo più sacro per i musulmani di Gerusalemme, ovvero la moschea di Al-Aqsa.
È di ieri, invece, la triste notizie della morte – l’ennesima – della giornalista di Al-Jazeera Shireen Abu Akleh, causata da un cecchino israeliano che ha mirato alla sua testa, l’unica parte del suo corpo non protetta da eventuali attacchi.
Insomma, da circa 74 anni questa regione del mondo non trova pace, la stessa pace che il mondo occidentale in questi giorni chiede a gran voce in Ucraina, puntando il dito verso Putin. E come ogni anno, i media occidentali evitano di raccontare i continui soprusi subiti dai civili palestinesi, continuando ad appoggiare la politica di apartheid – così come l’ha definita Amnesty – dello Stato d’Israele.
L’ennesimo attacco ad Al-Jazeera
La morte di Shireen Abu-Akleh non è l’unico evento che coinvolge direttamente l’emittente qatariota. Tutti ricordiamo come, durante gli attacchi sulla striscia di Gaza del maggio 2021, fu attaccato il grattacielo dei media, sede di al-Jazeera. Durante quell’occasione, le forze armate israeliane diedero un preavviso di solo un’ora per evacuare l’intero palazzo, nonostante sapessero della presenza di un unico ascensore in un grattacielo di 11 piani.

È chiaro, quindi, che il giornalismo libero è uno dei target contro cui si scaglia brutalmente Israele. Da ieri tutto ciò risulta ancora più evidente, poiché l’uccisione di una giornalista palestinese non è una casualità.
L’unica colpa di Shireen Abu-Akleh era quella di elargire un tipo di informazione libera dal campo di Jenin, dove ieri mattina era in corso un raid da parte delle forze israeliane. Quel campo era uno dei luoghi preferiti della giornalista, poiché già venti anni fa copriva le notizie in quella zona e dichiarò: “Per me Jenin non è un’effimera storia della mia carriera o della mia vita privata. Per me questo posto rappresenta lo spirito dei palestinesi, i quali trovano sempre la forza di rialzarsi per poter perseguire i propri sogni”. Per uno stupido gioco del destino, lei stessa è stata assassinata nel luogo dove ha raccontato per anni le storie della coraggiosa resistenza.
I giornalisti morti in Israele e nella Palestina occupata
Dopo l’uccisione di Shireen Abu-Akleh è intervenuto ai microfoni di al-Jazeera Sherif Mansour, il coordinatore del Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) dell’area MENA.
Mansour ha raccontato di come, dal 1992, il Comitato ha documentato l’uccisione di almeno 18 giornalisti in Israele e nella Palestina occupata. In ognuno di questi casi, inoltre, “non vi è mai stata giustizia“.
Inoltre, il Centro Internazionale di Giustizia per i Palestinesi (ICJP) ha accusato apertamente le forze israeliane di aver dato ordini precisi ai propri militari di puntare il fuoco anche contro i giornalisti palestinesi.
Quest’accusa, infatti, è stata lanciata pochi giorni dopo che l’ICJP, insieme alla Federazione Internazionale dei Giornalisti e al Sindacato Palestinese dei Giornalisti, ha inviato una lettera di lamentele alla Corte Penale Internazionale. Anche qui veniva asserito che i giornalisti palestinesi erano considerati dei veri e propri target militari, in preda ai proiettili israeliani.