Siamo nell’Italia del 2022 e il progresso tecnologico ha dato voce a tutti: ha permesso la diffusione di cultura, l’annullamento delle barriere temporali e locali e la libera circolazione di idee, anche nei regimi più rigidi. Internet è diventato un diritto e il suo controllo significa anche e soprattutto potere.
Ma come tante innovazioni, è facile individuare la lama a doppio taglio dei social media e dello spazio che essi conferiscono ad ogni genere di persona, con il relativo orientamento politico alle spalle.
È questo che fa Settantuno, il nuovo spettacolo di Riccardo Pisani, con produzione Contestualmente Teatro, andato in scena dal 5 al 6 Febbraio al Nuovo Teatro Sanità.
Vengono messi in luce tutti gli aspetti più critici del fanatismo politico, che spesso trova terreno d’appoggio proprio nei gruppi “ghetto” social, dove si riuniscono tutte le persone che hanno idee politiche comuni; sono gruppi dove ogni ideologia estremista è amplificata e supportata nei suoi massimi aspetti.
A dare voce al Settantuno (che nella smorfia napoletana indica l’uomo di merda) è Nello Provenzano, che abbiamo visto vestire di panni di Flaviano, fascista estremo dalla doppia vita: quella reale, fatta di mediocrità, insuccessi con le donne e alienante lavoro d’ufficio, e quella social, l’alter ego che si crea per dar voce a tutti i suoi luoghi comuni, dai pensieri razzisti che sfociano in veri e propri inni alla violenza e allo sterminio di massa.
Il tempo scenico si alterna tra Flaviano che conduce uno sproloquio interiore nella sua stanza, addobbata con una maschera che indossa nei suoi video social e una serie di palloncini che richiamano il Tricolore, e i dialoghi che instaura con la madre, con la quale vive ancora.
Dai dialoghi con la madre emergono i paradossi delle affermazioni di Flaviano, che si innalza ad un superuomo d’annunziano, oltre la morale comune e i “valori” della società di massa che disprezza e si attribuisce il ruolo di salvatore della patria: è lui il vero uomo italiano che deve capovolgere la situazione in cui versa il suo paese.
Crede fedelmente nello Stato, è un’entità che venera al pari di un Dio, ma non esita a farsi “lo stato da se’” nel momento in cui non vengono adoperate le misure di contenimento migratorio che egli si augurava. Flaviano è il superuomo che si fa Stato, si attribuisce il potere politico di cambiare la situazione nel suo paese ed è deciso ad uno sterminio di tutto ciò che non è italiano, tutto ciò che non è di pura tradizione.
Nel suo mirino non solo stranieri, ma anche le donne che non rispecchiano i valori di “santa madre” tipici del patriottismo mussoliniano.
Questo alter ego costruito però, si contrappone al vero Flaviano, che di mascolino e virile presenta in realtà ben poco, come emerge dai dialoghi con la madre e dall’impegno che egli esercita nella sua professione.
Flaviano, in realtà, è un essere vuoto. Un sacco umano che viene riempito di dogmi e pregiudizi, sui quali si basa la sua intera figura ed esistenza, la sua intera personalità. E’ l’uomo di Fromm che fugge dalla libertà, che in un momento di massima crisi interiore si rifugia nella figura autoritaria e totalitaria, in questo caso rappresentata da un’ideologia che lo pone al centro e al di sopra di tutto: perché maschio, perché bianco e perché italiano.
Questo dualismo è ben rappresentato non solo attraverso la costruzione della sceneggiatura, ma anche mediante un tempo scenico scandito dalle luci, a cura di Gaetano Battista.
La sceneggiatura, curata da Nello Provenzano e Riccardo Pisani, prende liberamente spunto da tutta una serie di commenti individuati su pagine e profili social di vario tipo. Persone comuni che commentano fatti di cronaca, aggressioni ai danni dei migranti e inneggiano all’odio.
E’ lo stesso Flaviano inoltre che alimenta questa faida social, attraverso il suo alter ego. Egli inoltre trova dei veri e propri appigli nel Mein Kampf, il libro in cui Adolf Hitler espone la sua propaganda nazista, che diventa per il protagonista una vera e propria Bibbia.
L’interpretazione di Provenzano ci mostra ancora una volta le promettenti doti dell’attore che siamo certi di rivedere in future rappresentazioni, così come il lavoro svolto da Pisani e Angela Rosa D’Auria nel ruolo di regista e assistente regista.
Lo spettacolo inizia e si conclude con le note patriottiche di L’italiano di Toto Cotugno e Io non mi sento italiano di Giorgio Gaber, un’interessante contrapposizione tra ciò che viene mostrato materialmente nello spettacolo, dunque la figura di un patriota, e ciò che invece è il messaggio che si vuole far trasmettere, quello di un completo distacco da questo tipo di ideali estremisti.
Le musiche accompagnano un video conclusivo, realizzato da Luca Scarpati, al quale vi lascio il piacere della visione laddove Settantuno* dovesse proporre prossime repliche.