Un siciliano che vive in Campania, dreads raccolti, pantaloni da lavoro, una t-shirt e lo smanicato di Emergency, mi accoglie con un sorriso che scorgo non dalle labbra, ma dagli occhi che la mascherina non copre.
È Sergio Serraino, che da 22 anni si occupa di immigrazione, per poi ritrovarsi operatore sociale. Sergio è il referente di Emergency – Castel Volturno dal 2013 con clinica mobile e dal 2015 in questa struttura fissa. Ogni giorno vive il territorio e le problematiche delle comunità presenti, soprattutto le comunità ganese e nigeriana. Tante le cose che voglio chiedergli, tante le domande soprattutto all’indomani del periodo del covid19 e della morte di Thomas Daniel.
Chi sono i George Floyd italiani?
Nel nostro Paese fortunatamente non ci sono esponenziali episodi di razzismo da parte delle forze di polizia, ma ciò non significa che non vi siano metodi razzisti attuati giornalmente. Cosa ne pensi?
Parliamo della tratta delle schiave che ha fulcro proprio sulla Domiziana (a pochi passi da noi), con livelli di sfruttamento della prostituzione altissimi considerando soprattutto le pratiche brutali messe in atto dai “Papponi” e/o dalle “Madame”.
Raccontiamo queste storie e quelle degli operatori che curano gli uomini che portano letteralmente addosso i segni di queste torture sociali. Black Lives Matter, la vita dei nostri fratelli dalla pelle nera conta e deve contare il loro lavoro. La nostra Repubblica si fonda su questo princìpio.
Chi sono i George Floyd italiani?
«Sono i tantissimi lavoratori che possiamo vedere ogni mattina dalle ore 5 alle fermate degli autobus, vengono recuperati per recarsi sui luoghi di lavoro, o restano alle rotonde per poter trovare lavoro giornaliero, soprattutto nei campi, senza alcun diritto e con paghe da schiavitù, sfruttati e in cui spesso trovano anche la morte, come è accaduto a Thomas Daniel, morto a 41 anni a causa di un crollo nel cantiere dove lavorava. Thomas Daniel è un caso esemplare di ciò che sta accadendo a Castel Volturno, lui come tanti altri si sono ritrovati privati della protezione umanitaria, abolita dal decreto sicurezza.
Persone, circa 2000, che pur possedendo il permesso di soggiorno, la residenza o il contratto di affitto, anche da 7 anni o 10 anni, improvvisamente non possono più godere di quei diritti garantiti e ora si trovano nuovamente nella condizione di irregolarità. Oggi sono a rischio anche solo circolando per strada, perché sprovvisti di permesso di soggiorno, tolto da una legge».
Nel nostro Paese fortunatamente non ci sono esponenziali episodi di razzismo da parte delle forze di polizia, ma ciò non significa che non vi siano metodi razzisti attuati giornalmente. Cosa ne pensi?
«Sul territorio, la cancellazione della protezione umanitaria è l’esempio di violenza psicologica, perché ha fatto ricadere queste persone nella condizione di irregolarità burocratica e del “non rispetto” della dignità umana.
Gli episodi di violenza fisica qui non sono perpetrati dalla Polizia, ma da alcuni datori di lavoro, che assoggettano e pongono condizioni di quasi schiavismo.
Per fortuna ci sono molti imprenditori seri, ma ancora esistono quelli che impongono ai lavoratori di tenere lo sguardo basso, e hanno la pretesa che facciano un passo indietro quando il “padrone” parla. Molte sono le storie che raccogliamo, sembra quasi che utilizzino modalità feudali. Talvolta, quando ascolto delle storie dai nostri pazienti, mi sembra di ascoltare storie dei tempi di Placido Rizzotto».
Parliamo della tratta delle schiave che ha fulcro proprio sulla Domiziana (a pochi passi da noi), con livelli di sfruttamento della prostituzione altissimi considerando soprattutto le pratiche brutali messe in atto dai “Papponi” e/o dalle “Madame”.
«Di fatto molte donne sono ancora costrette a prostituirsi, per poter pagare l’affitto o inviare soldi ai figli che vivono in Nigeria, oltre a dover mantenere anche i figli nati in Italia. Non potendo avere grandi alternative si prostituiscono in strada o nelle Connection House, luoghi dove si esercita la prostituzione al chiuso.
Sono delle abitazioni adibite a luogo d’incontro dove uomini e donne consumano cibo, bibite ma soprattutto sesso, ed è off limits alla clientela italiana che è, invece, esclusivamente di strada».
Raccontiamo queste storie e quelle degli operatori che curano gli uomini che portano letteralmente addosso i segni di queste torture sociali. Black Lives Matter, la vita dei nostri fratelli dalla pelle nera conta e deve contare il loro lavoro. La nostra Repubblica si fonda su questo princìpio.
«Noi ascoltiamo ogni giorno i racconti dei nostri pazienti, soprattutto di colore o dei nostri colleghi, e sono di quotidianità razzista, storie che talvolta abbiamo difficoltà a comprendere perché noi bianchi non le viviamo sulla nostra pelle. Ci sono una serie di atteggiamenti e pregiudizi che sono difficili da sradicare.
Purtroppo in Italia, le persone di colore le vivono quotidianamente. Dovremmo imparare da ciò e comprendere affinché la vita dei nostri fratelli dalla pelle marrone conti davvero. Ma tengo a dire che se Castel Volturno è il peggio che si può trovare in una periferia del sud Italia per criminalità organizzata, abusivismo e inquinamento, è però in grado di esprimere il meglio della società civile, italiana, straniera, laica e religiosa, ed è riuscita a dimostrarlo proprio nell’emergenza. Una rete che ogni giorno collabora, e ancor più dovrà farlo, ora cercando di regolarizzare al meglio la vita sociale e burocratica, nonché umana di questi cittadini che chiedono solo di vivere dignitosamente.
Dignità che ogni giorno questo paese cerca di togliergli, nelle azioni delle madame, dei caporalati e di una burocrazia che non funziona».
di Anna Copertino
Foto di Massimo Pelliccia