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Se Napoli diventasse un brand?

Davide Dioguardi 06/06/2023
Updated 2023/06/06 at 12:18 PM
7 Minuti per la lettura

Napoli capitale italiana del turismo: è questa una delle prime cose che viene da pensare girando per i vicoli del Centro storico partenopeo. I numeri dei flussi di turisti sono alle stelle, i Decumani sono quotidianamente affollatissimi di persone da tutto il mondo, esercizi commerciali e strutture ricettive banchettano su un bottino che nei giorni delle feste pasquali ha superato gli 80 milioni di euro complessivi, con picchi di 250.000 persone presenti in regione a detta di Confesercenti. Questa vera e propria macchina del turismo non è tuttavia accesa da ieri: è da diversi anni che Napoli è tornata ad essere meta ambita per le vacanze di turisti italiani e stranieri che la preferiscono molto spesso a Roma, Venezia, Firenze.

È però tutt’oro quel che luccica? Se da una parte infatti è senz’altro vero che Napoli – o quanto meno il suo Centro storico – ha conosciuto una rinascita grazie al turismo, è altrettanto vero che se non governato quest’ultimo può portare ad una trasformazione irreversibile della città, diventando un “parco giochi” per turisti, invivibile per chi a Napoli ci nasce attraversandola da cittadino quotidianamente.

Sono infatti più di 8.000 – solo su Napoli città – gli annunci sulla piattaforma di Air bnb di vere e proprie case dove studenti e famiglie non alloggiano più e i proprietari hanno trasformato tutto in ottica turistica, notoriamente ben più redditizia. Questi dati ci arrivano da Anna Fava, attivista ed autrice del libro “Privati di Napoli”. È infatti la “privatizzazione” del Centro storico per i cosiddetti “locals” che spaventa moltissimi osservatori, come è stato possibile leggere in occasione della firma del “Patto per Napoli”, che ha sì salvato il Comune dal dissesto ma, pare, al prezzo della svendita di immobili e beni pubblici come la Galleria Principe e Palazzo Cavalcanti. Insomma, qualcosa nel macchinario del turismo “mordi e fuggi” si è inceppato e le contraddizioni emergono sempre più prepotentemente.

PIÙ RICCHEZZA MA PER CHI?

Un altro tasto dolente, invero da sempre, è l’enorme risalto che viene dato al Centro storico proprio perché è la zona più frequentata, mentre però le periferie vengono, se possibile, ancor più dimenticate. Basta sfogliare qualsiasi giornale locale per avere una veloce panoramica di quanto è avvenuto e sta ancora avvenendo nella zona di Ponticelli e di Pianura dove le guerre di camorra sono tornate ad imporre il coprifuoco ai residenti, il tutto in un assordante ed inspiegabile silenzio istituzionale. Verrebbe da chiedersi se per imprenditori ed amministratori Napoli non si sia ridotta a poche decine di strade, mentre il resto della città finisce sotto il proverbiale tappeto.

Eleonora De Majo è, a sua volta, un’attivista di lungo corso e durante il secondo mandato dell’amministrazione guidata da Luigi De Magistris ha ricoperto l’incarico di assessora al turismo, fronteggiando il difficilissimo periodo del Covid. A parere di Eleonora: «Il turismo è una fabbrica diffusa della metropoli e sicuramente porta con sé un aumento della ricchezza. La domanda che dobbiamo porci però è “per chi?” Il problema di questa fabbrica diffusa in generale è che molto spesso, e questo credo sia anche il caso napoletano, a fronte di questa enorme quantità di denaro portata dai milioni di persone che arrivano in città, non ce n’è un’equa distribuzione di questa ricchezza né un miglioramento delle condizioni di lavoro o dell’occupazione stabile e sicura né un miglioramento dei servizi, qui secondo me c’è il corto circuito. Il profitto di una fabbrica che occupa lo spazio pubblico non può essere solo privato».

«La città – continua – è uno spazio pubblico che viene interessato da un fenomeno di massa che ne modifica inevitabilmente molti aspetti. I cittadini non possono subire solo le conseguenze negative di questo fenomeno: chiusura dei negozi di vicinato, aumento dei prezzi degli affitti, impossibilità di trovare parcheggio, sfratti ma dovrebbero poter fruire della crescita trasformandola in opportunità di sviluppo non solo economico».

IL TURISMO NON INFLUISCE SUI SALARI

Nella panoramica che stiamo provando ad offrire della Napoli scintillante dal ventre opaco non manca infatti la questione legata ai salari: sono tante le testimonianze, spesso anonime, talvolta no, di ragazzi e ragazze giovanissime che per pagare l’affitto o semplicemente per provare ad emanciparsi dalla sfera familiare. In un paese in cui l’ascensore sociale è rotto, ma soprattutto in un paese in cui i tecnici quasi si rifiutano di ripararlo: lavorano per 9, 10, 11 ore nei locali e nei ristoranti che sono ormai senza orari. Basta passeggiare nei luoghi più affollati per notare come le cucine rimangano aperte praticamente sempre, con turni che iniziano alle 16.00 del pomeriggio per il personale di sala e terminano oltre le 2 di notte per 35€ di paga: 3,50€ all’ora. È probabilmente anche di questo che si dovrebbe parlare quando si parla di redistribuzione della ricchezza, di concertazione tra le parti che dovrebbero occuparsi sì della crescita della città ma anche delle sue storture, delle contraddizioni che nascono in seno alla stessa.

Provando ad avviarci alle conclusioni, la domanda è questa: che ne è della città reale e dei suoi problemi, visto che non possiamo dimenticarci del fatto che stiamo parlando di una città povera, in una regione povera, di un paese complessivamente povero, nel momento in cui viene “brandizzata” e di conseguenza snaturata? Napoli sopravvivrà all’acquisto da parte di chi la vorrebbe impacchettata?
Si tratta di una domanda aperta. Invertire il processo di crescita del turismo è impossibile – oltre che sbagliato, poiché crediamo che poter incontrare e discutere con persone provenienti da tutto il mondo renda le città migliori, cosmopolite, aperte, dinamiche – ma lo si potrà governare per favorire non una parte o l’altra, ma semplicemente la città e la sua vivibilità? Ai turisti l’ardua sentenza.

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