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Scioperi e proteste: si riparte dagli Stati Uniti

Roberto Giuliano 04/09/2023
Updated 2023/09/04 at 11:36 AM
5 Minuti per la lettura

A qualcuno sembrerà strano, ma ad aprire l’autunno caldo di scioperi e proteste non saranno i ferrovieri o i metalmeccanici di qualche Paese europeo, ma degli operai statunitensi del settore automobilistico.

Sembrerà strano perché negli Stati Uniti vigono, da ormai 40 anni, politiche neoliberali ed antisindacali violentissime, che, a suon di licenziamenti, ricatti e propaganda hanno fatto crollare il tasso di lavoratori sindacalizzati negli USA ad un misero 6% (contro più del 30% in Italia). Lavoratori divisi e disorganizzati hanno dovuto cedere a tagli di stipendi, chiusure di impianti, ristrutturazioni fantasiose e delocalizzazioni senza poter discutere; la democrazia piace, ma non sul posto di lavoro.

Negli ultimi tempi, però, qualcosa sembra essere cambiato.

Gli scioperi negli Stati Uniti

Che siano stati i salari che non tengono con l’inflazione, il sempre maggior numero di persone che deve fare due lavori per arrivare a fine mese o un notevole calo dell’aspettativa di vita nel Paese più ricco al mondo: alcuni statunitensi non sembrano essere disposti ad andare avanti così.

Sono quindi iniziate una serie di agitazioni sindacali importanti come quelle dei lavoratori di Amazon e Starbucks o quella, molto mediatica, dei lavoratori di Hollywood; lotte che si sono distinte in particolare per l’ingegnosità con cui sono state aggirate le misure antisindacali, con casi che potrebbero fare scuola anche da noi.

Ma ciò che è stato finora, non è nulla in confronto al grande sciopero di 150.000 operai della United Auto Workers, impiegati nelle fabbriche delle “tre grandi di Detroit” (Ford, General Motors e Stellantis-Fiat), previsto, se non si raggiungerà un compromesso, per il 14 settembre.

“La lotta decisiva della nostra generazione”, così Shawn Fein, il carismatico Presidente della United Auto Workers, definisce la trattativa in corso; non ha paura dello scontro, Fein, non esita a stracciare in diretta le lettere temporeggiatrici dei dirigenti o a smascherare le false promesse fatte agli operai dal neoliberismo.

Ciò che rende notevole questa agitazione, però, è la portata delle richieste avanzate dal sindacato: aumenti del 46% in 4 anni, settimana a 32 ore a pari salario, welfare e abolizione dei salari differenziati. Richieste che hanno suscitato il terrore dei dirigenti, ma un sostegno travolgente tra i lavoratori, che hanno votato praticamente all’unanimità (97%) per autorizzare lo sciopero.

La transizione alla produzione di auto elettriche, sostiene l’UAW, porterà una enorme semplificazione nella produzione delle automobili, rendendo superflue le “vecchie” 40 e più ore settimanali; ciò non giustifica un blocco degli aumenti salariali, che dovrebbero salire alla luce dei profitti record delle compagnie e dell’inflazione.

Insomma, i lavoratori chiedono “il pane e le rose” con la sicurezza di chi sa che, tra capitale e lavoro, solo una delle due parti è davvero fondamentale per continuare la produzione.

E in Italia?

Come negli USA, anche in Italia la forza dei sindacati è calata negli ultimi anni.

La timidezza nelle trattative, una tendenza a voler sempre conciliare gli interessi di lavoratori e imprese e la mancanza di preparazione nei sindacati tradizionali hanno contribuito a questa disaffezione.

Non che qui manchino agitazioni sindacali di livello: si pensi agli operai della GKN o ai picchetti dei lavoratori della logistica in vari impianti del Centro nord o alla recente vittoria dei lavoratori della Whirpool.

Quel che manca sono lotte che, per partecipazione e livello dello scontro, riabilitino il sindacalismo agli occhi della popolazione. Lotte che portino sì vantaggi agli scioperanti, ma che abbiano la forza di passare dal particolare al generale, facendosi tramite di interessi di tutta la classe lavoratrice (e possibilmente dei disoccupati).

Riduzione dell’orario di lavoro, salario minimo o reddito di base, sistema sanitario nazionale e democrazia sul posto di lavoro, solo con queste parole d’ordine si potrà far partire una stagione di lotte sindacali in grado di ridare dignità al lavoro, in Italia e nel mondo.

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