Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali disposto con decreto del Presidente della Repubblica
Il vigente sistema normativo, l’art. 143 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico sugli Enti Locali) delinea l’iter procedimentale e i presupposti per l’adozione del decreto di scioglimento dei consigli comunali e provinciali, e fornisce spunti per poter affrontare la questione allo stato sempre più diffusa, soprattutto al Centro-Sud Italia, del fenomeno dello scioglimento dei Consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa.
Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, rappresenta l’espressione di un efficace potere straordinario dello Stato cui è possibile far ricorso solo in occasioni altrettanto straordinarie. Al pari di altri strumenti di contrasto alla diffusione della criminalità organizzata in settori centrali, lo scioglimento dell’ente ex art. 143, Tuel 267/2000, costituisce un mezzo di intervento che garantisce la massima anticipazione della soglia di tutela, risultando svincolato sia da accertamenti in sede penale sia dalla ricorrenza di misure di prevenzione o di sicurezza e ciò anche al fine precipuo di disporre di un mezzo immediato di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata.
La misura, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che ai fini della sua adozione è sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato. Si configura così una forma di salvaguardia dell’amministrazione pubblica influenzata della criminalità organizzata. Tuttavia, si parla di ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni e tanto altro. In sintesi, il provvedimento di scioglimento, rappresenta un modello di valutazione prognostica, con riguardo a un evento di pericolo ricavabile dagli effetti derivanti dai collegamenti, dalla contiguità, dall’ organicità dei gruppi malavitosi con la P.A., ed altre forme di condizionamento”, viste nell’ottica di esclusiva compromissione della “libera determinazione degli organi elettivi, del buon andamento delle amministrazioni nonché del regolare funzionamento dei servizi, ed ancora in termini di grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
E ci chiediamo, se un fatto è avvalorato da obiettive risultanze di collusione tanto da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della comunità locale, il persistere di quegli organi elettivi, e tanto per fare un esempio il “caso Mascalucia”. Una piccola cittadina ai piedi dell’Etna dove non si è vista neanche l’ombra di una Commissione Prefettizia. Questi i fatti: Mascalucia (CT)una piccola cittadina ai piedi dell’Etna: operazione “Malupassu” contiguità tra mafia e politica. Dalla lettura delle carte dell’operazione di polizia che ha portato in carcere tanti soggetti, legati a cosa nostra Catanese, indichiamo tutte le condizioni e nessuna esclusa, previste per lo scioglimento del comune di Mascalucia per infiltrazioni mafiose. La normativa? Sempre quella! l’art. 143 del D.lgs. 18 agosto 2000, n.267.Dall’operazione di polizia emergono rilevanti elementi sui collegamenti diretti di diversi funzionari comunali, ed il pro tempore nell’anno 2018 Comandante della Polizia locale,con la criminalità organizzata mafiosa. Ad esempio ,appare singolare come un dipendente pubblico svolgesse verosimili mansioni di consulente personale della famiglia mafiosa. Una famigerata famiglia mafiosa denominata “Malpassotu” e per essere esatti, ciò che riportiamo si trova a pag.343 del provvedimento giudiziario.
Il predetto dipendente comunale aveva il compito di andare in rassegna da tutti quei commercianti sotto estorsione e chiedere a quest’ultimi, uno per uno, se avessero sporto denuncia ai Carabinieri di Mascalucia, sul conto della “famiglia”, gli estortori appunto. Poi ancora, un altro episodio tratto dalle intercettazioni evidenzia come il boss Puglisi, per risolvere una controversa licenza di commercio ambulante, ordina allo stesso commerciante di recarsi, a suo nome, da un dipendente comunale (non indagato),che gli avrebbe consegnato una licenza di ambulante pretesa anche se verosimilmente non spettante. Atti di forza diciamo, che fanno evidenziare l’autorità mafiosa del Puglisi che si proponeva da un lato come soggetto che risolveva le situazioni di conflitto, dall’altro come intermediario con gli organi comunali (da pag. 345/350 del provvedimento giudiziario).Però, “Saro bicicletta” dipendente comunale, per meglio favorire i Puglisi non andava da solo, si faceva accompagnare da un’altro dipendente comunale (non indagato, e non meglio identificato dicono i Carabinieri), e questa volta gli porta una stampa del piano regolatore di Mascalucia (che forse non poteva ancor esser reso pubblico).
Cosicchè i dipendenti infedeli, oltre a consegnare copia del prg, consigliavano a Puglisi dove e quali terreni agricoli acquistare a prezzi irrisori, che col cambio di destinazione, e senza l’ausilio del noto Mago Silvan sarebbero diventati edificabili, e avrebbero garantito al gruppo mafioso ingenti guadagni, impegnando modeste risorse. Tuttavia di codesti episodi ne potremmo raccontare diversi e tutti tratti dallo stesso copione, le ordinanze della attenta Procura di Catania. Ma i quesiti – diversi – che affiorano da ogni attento lettore sono: perché i dipendenti comunali seppur organici alla famiglia mafiosa non sono stati arrestati? Non è dato sapere. E poi ancora, si attende il Prefetto di Catania nel suo compimento delle non rinviabili determinazioni di quel decreto legge n. 113 del 4 ottobre 2018.