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“Salutami tuo fratello”: la nuova sfida del rocker emiliano

Luisa Del Prete 04/06/2021
Updated 2021/06/04 at 4:59 PM
11 Minuti per la lettura
L’intervista al cantautore Marco Ligabue 

Salutami tuo fratello” è il libro d’esordio di Marco Ligabue. Una nuova sfida per il cantautore, fratello di Luciano Ligabue, che con questo libro ha voluto raccontare una vita che va al di là dei soliti stereotipi del “fratello di”, ma che anzi è ricca di energia, tenacia, voglia di fare e soprattutto tanto talento. L’intervista al rocker emiliano, nella quale racconta non solo del nuovo libro, ma dà una visione completa di una carriera ricca di emozioni e continue nuove esperienze. 

“Salutami tuo fratello” è il tuo libro d’esordio, anche se la carriera nel mondo della musica va avanti da un bel po’. Com’è nata l’idea di questo libro?  

«Il libro non era in programma, anzi io pensavo di non essere capace di scrivere un libro. Anche se scrivo canzoni, pensavo che un libro fosse un’impresa titanica. Però circa un anno e mezzo fa, un mio amico giornalista di Pescara, Paolo Di Vincenzo, mi ha detto: “Marco tu oramai compi 50 anni e dovresti scrivere un libro”, io gli ho risposto: “Un libro io? Ma va là” e lui ha insistito dicendo: “No guarda tu hai un’esperienza unica, pensaci bene, perché sei stato prima fan della musica, sei stato collaboratore e addetto ai lavori lavorando con tuo fratello Luciano, prima autore e chitarrista, poi cantautore, sei il fratello di una grande rockstar quindi hai potuto vivere la musica da tante angolazioni che è un’esperienza unica”. Da queste sue parole mi è scattato qualcosa e allora ho provato timidamente a scrivere i primi capitoli. Un capitolo dopo l’altro per vedere come mi approcciavo, ma ci prendevo gusto man mano perché era un’esperienza che mi stava dando tanto, essendo molto diversa dalle canzoni, e quindi così a trentatré capitoli ho detto: “Stop, abbiamo il libro Salutami tuo fratello”». 

Il titolo del libro: “Salutami tuo fratello”. Perché?  

«Le motivazioni di questo titolo sono varie. In primis per ironizzarci sopra perché è una delle frasi che più mi sono sentito dire nella mia vita; qualcuno me lo diceva in piazza da piccoli a Correggio, parenti ed amici, poi dal ’90 quando Luciano è partito con “Balliamo sul mondo” e si è fatto conoscere in tutta Italia, da lì è diventata una nazione intera che me lo ripeteva continuamente. Quindi diciamo che è una frase che fa parte della mia vita e quindi c’ho voluto scherzare sopra, ma anche raccontare che mentre la gente mi salutava perché ero il fratello di, io ho cercato di affrontare tutte le mie sfide, la mia vita, il mio percorso personale e artistico, i miei amori, la mia vita privata» 

In una parte del libro citi una frase presa da una delle tue ultime canzoni “Tra via Emilia e blue jeans” ovvero “Se c’è qualcosa in questo sangue emiliano c’è che noi non molliamo” ed anche un pezzo preso dal web risalente al 2012, anno del terremoto. Quanto senti forte il legame con la tua terra e come credi che abbia influenzato il tuo percorso artistico? 

«Il legame con la mia terra è fortissimo. Voglio proprio bene alla mia terra a partire da Correggio alla mia Emilia con le vigne di lambrusco, i campi, i portici, la nebbia d’inverno, sono tutte caratteristiche con cui sono nato e che fanno parte di me e che mi rappresentano. Ed è una terra che è stata decisiva per la mia formazione sia umana che professionale perché mi ha dato delle caratteristiche di caparbietà, di tenacia, di lavorare tanto ma sempre con il sorriso, di non mollare mai, di rimboccarsi le maniche e non lasciarsi andare. Sono tutte caratteristiche che sono il punto centrale di tutta l’Emilia e questo è fondamentale». 

Un percorso artistico che inizia nei primi anni ’90, con il gruppo Little Taver & His Crazy Alligators. Continua nel 2001 con i Rio, gruppo attivo fino a giugno 2012. “Uno stravolgimento che accende dentro me una scintilla”. Per poi arrivare al 2013 con l’inizio della tua carriera da solista. Come mai questa decisione? 

«L’aver compiuto 40 anni ed aver fatto tanti anni di band, mi hanno fatto assumere una consapevolezza diversa. Fino a quel momento l’idea di cantare non la volevo neanche valutare; avendo un fratello così famoso mi sembrava di andare a far la stessa cosa e di andarmi ad imbucare in un vicolo cieco fatto solo di pregiudizi e di paragoni col fratello e di persone che pensavano che non sarei mai stato come lui. Insomma, tutta una serie di paure che non volevo neanche affrontare. Poi passati dieci anni bellissimi con i Rio, i 40 anni, sono diventato papà, mi sono arrivate tante canzoni nuove e diverse che non erano più da contesto di una band, probabilmente mi hanno fatto prendere questa svolta e c’ho messo un po’ a prenderci le misure perché fare il cantautore è un’altra cosa, però devo dire che è stata una delle scelte più giuste che io abbia mai fatto». 

Tanta energia, ma soprattutto una grande simpatia. Qual è la forza motrice di ciò?  

«E’ la vena rock’n’roll. Quando nasci in questa terra con due genitori che hanno il rock’n’roll dentro probabilmente ti trasmettono una cosa dentro, nel sangue. Quindi sicuramente la terra ed i genitori sono stati fondamentali, ma c’è stato un episodio drammatico che per me è stato cruciale perché sono cambiato in tanti miei modi di pensare ovvero quando sono andato ad Auschwitz in Polonia, nel treno della memoria insieme ad altri 700 studenti. Io ero andato lì con i Rio perché organizzano questo viaggio dove la mattina si va a vedere i campi di concentramento e la sera chiamano una band o un cantante per alleggerire quest’esperienza. Io quando sono andato a Birkenau e soprattutto al campo di concentramento di Auschwitz, mi è arrivata una botta perché sì, avevo visto tanti documentari e letto tanti libri, ma quando vai lì sul posto, tocchi con mano e vedi con i tuoi occhi un orrore che ti sembra inimmaginabile. Io ho cercato di farla mia, è stata un’esperienza tostissima e quando sono ritornato a casa, nel treno di ritorno, io ho consapevolizzato che ogni giorno ci facciamo mille problemi per veramente cose inutili e pensando al dramma che hanno passato certe persone, mi è arrivata proprio una leggerezza, un sorriso ancora più esplicato grazie proprio all’aver vissuto di persona questo dramma». 

Guardando indietro a quel che è stata la tua carriera, c’è qualcosa che rimpiangi? C’è invece qualcosa che auspichi per il futuro? 

«L’unico rimpianto che ho è quello di non aver fatto il liceo classico! Avendo fatto il tecnico, invidio da morire chi ha fatto gli studi classici ed il loro modo di parlare. Se c’è una vita o due simile a questa, tornando indietro farei il liceo classico o comunque un liceo. Se c’è una cosa invece che mi auguro è quella di avere sempre l’energia e la voglia di creare perché penso che quella sia la molla vera che ci fa andare avanti. Ho un sogno vero, forse irrealizzabile, è quello di fare un concerto all’arena di Verona perché è il posto più bello del mondo». 

In conclusione: una delle tue prime canzoni dici “Ogni piccola pazzia ci fa andare più lontano”. Quale ritieni sia stata la tua piccola pazzia? Credi che ti porterà ancora molto lontano? 

«La mia grande pazzia è stata quella di mia figlia. Non che siano una pazzia i figli, ma a me ed alla mia ex ragazza è capitato a pochi mesi dalla nostra conoscenza ed è stato proprio l’amore verso una figlia che è un qualcosa che va al di fuori delle classifiche dei sentimenti. Per fortuna ho fatto questa “pazzia”, che è stata la cosa più naturale del mondo. Quando nasce un figlio, anche il tuo orizzonte è ancora più avanti. Una cosa che mi è cambiata tantissimo è che il mio orizzonte, quando lei è nata, non era più di altri 30/40 anni, ma di almeno altri cento. Hai una visione del mondo ancora più lungimirante e ti cambia veramente». 

di Luisa Del Prete

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE

N°218 – GIUGNO 2021

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