ANTEFATTO
Nel 2017 ci pensava già Selvaggia Lucarelli a denunciare sul “Fatto Quotidiano” l’esistenza di gruppi social che avevano come scopo la condivisione di materiale pornografico e talvolta pedopornografico. Immagini rubate dai social, materiale privato, conversazioni, numeri di telefono di donne e ragazzine che diventano a loro insaputa vittime di dinamiche agghiaccianti, ma a questo ci arriveremo tra poco. Quando la Lucarelli denunciava, vi era l’inesistenza di una legge ad hoc: chi praticava il “Revenge porn“, o si rendeva complice, restava praticamente impunito. Nel frattempo, Tiziana Cantone si suicidava, dopo aver vissuto sulla sua pelle l’abuso, la gogna mediatica, il giudizio, e come lei, fin troppe donne. Nel 2019 le carte in tavola cambiano, il Revenge porn è reato: “codice rosso” prevede la reclusione da uno a sei anni, e multe fino a 15.000 euro. Eppure, regolare giuridicamente un reato, non basta.
IL FATTO
I servizi di messaggistica istantanea secondari a Whatsapp, colosso principale, presentano tutti funzionalità differenti. Tra questi troviamo Telegram, che possiede numerose impostazioni più vantaggiose rispetto alla piattaforma verde: la possibilità di modificare i messaggi, anonimato, chat a tempo e con crittografie in grado di renderle “segrete”, gruppi o canali da cui ricevere aggiornamenti, tutte qualità che fanno gola a coloro che, se scelgono di utilizzarlo, non lo fanno con buone intenzioni. Basta fare qualche ricerca per rendersi conto di quanto sia semplice trovare tutto ciò che desideriamo: dai fumetti ai romanzi, film, musica, riviste, fino ad arrivare alla compravendita di account digitali, criptovalute, e per l’appunto, materiale pornografico. Dopo le varie e numerosissime segnalazioni avvenute in questi anni, relative alle chiusure dei gruppi, un’inchiesta di Wired illustra a 360° cosa accade e continua ad accadere su Telegram. Risale a ieri, infatti, l’ultima denuncia di una ragazza.
Cominciamo con qualche numero: 21 canali Telegram, circa 50.000 iscritti, una media di 40.000 messaggi al giorno. Un vero e proprio network portato avanti da ragazzini e da adulti. Quello che avviene è raccapricciante: c’è chi condivide foto private della propria ex fidanzata per concezione vendicativa, con esplicite richieste come “rendetele la vita impossibile“, padri di famiglia che pubblicano foto delle proprie figlie chiedendo “tributi” (vi risparmio le delucidazioni in merito a questi tributi, perché non fa assolutamente piacere intendere di cosa si tratta). E poi ancora nomi, numeri di telefono di ragazze incoscienti del fatto che, in quella jungla digitale, dove ci sentiamo liberi di condividere ciò che vogliamo, ci siano uomini che come unico obiettivo hanno quello di trovare materiale da condividere e archiviare, e non importa di quale genere. Volti, nudi, in costume, minorenni o maggiorenni: nessuna differenza. L’importante è che siano belle ragazze. Quello che si legge è a dir poco stomachevole, rimbalzando tra un “qualcuno ha dodicenni” e “scambio con stesso materiale“, fino a giungere a domande agghiaccianti del tipo “Come faccio a stuprare mia figlia senza farla piangere?“
DINAMICHE E RIFLESSIONI
È chiaro che ci si domanda immediatamente il perchè di tutto questo. La nostra vita è completamente digitalizzata ormai, la nostra identità si configura anche in un aspetto digitale ed è evidente che dovremmo andare ad analizzare punti come la salvaguardia di questa nostra identità digitale e presenza sul web. Il perchè di questi gruppi è da ricercarsi, ahimè, nella concezione che ancora si ha della figura femminile e della sfera sessuale ad essa legata. E voglio tenere dei toni duri su questo: non è un discorso femminista, nè tantomeno frutto di una chiusura mentale; si tratta di concezioni umane.
La donna, per definizione di natura radicalmente culturale, è demonizzata. In tutti gli ambiti della sua vita. La donna che si sente libera di indossare un vestito corto è a prescindere una bagascia, e lo è tanto quanto una donna che indossa magari un jeans, e che non si concede facilmente. La donna che si sente libera di vivere la propria sessualità è considerata sporca, puttana, una donna da evitare, considerata incapace di intrattenere relazioni serie, perché magari affronta con serenità argomenti considerati “tabù”. Nell’immaginario maschile la donna è sempre stata sottomessa, concepita come marionetta al servizio di un uomo e senza diritto di affermarsi come umana. La donna è semplicemente un’offesa, un epiteto con cui riempirsi la bocca: troia, zoccola, mignotta, bagascia, puttana, cagna. A prescindere da qualunque fattore, giusto o sbagliato. Che tu sia brutta o bella, che tu sia disponibile o no. E questo ideale, nonostante le evoluzioni nel tempo, risulta ancora difficile da sradicare. Ciò ha portato a concepire il sesso come un’affermazione del potere maschile, della sua supremazia: io sono l’uomo e tu la donna, e in certi casi, io sono il carnefice, tu sei la vittima.
Tu, donna, devi accettare i miei tentativi di conquista di qualunque natura essi siano; fatti togliere le mutande e fatti scopare. Non importa se tu non te la senta, o se magari vuoi darmela all’appuntamento successivo. Se me la dai all’appuntamento successivo, sei una troia. E tu invece, che sei una ragazza così spigliata, che mi fai capire che ci stai, che mi vuoi ammaliare, sei pur sempre una femmina. E sei troia, sei ancora più troia delle altre, perché mi ha fatto capire che ci saresti stata.
Queste dinamiche si verificano su internet così come nella realtà, attraverso lo scambio di foto, e ci si sente in diritto di dire liberamente che S., 16 anni, “per quanto scopa ha un corridoio in mezzo alle gambe“.
C., invece, va colpevolizzata e derisa, perché “nel 2019 manco i bocchini mi fa, ‘sta zoccola“.
F. va perseguitata, perché ha messo fine ad una relazione che non le stava più bene. Ed ecco che addirittura, in un mondo ampio come quello del web, si avvia un meccanismo malato che funziona attraverso un viscido baratto: tu mi mandi una foto intima e reale della tua ex, io ti ripago con la stessa moneta. La giustificazione che in molti si permettono di dare a queste pratiche, si nasconde dietro la frase “sono fantasie sessuali che potremmo avere tutti“. Se non fosse che il confine tra perversione e parafilia, sia ben marcato.
LIBERTA’ SESSUALE, PERVERSIONI, PARAFILIE: L’OPINIONE
Mi batto ormai da qualche anno per quelli che sono i grandi cambiamenti di cui la nostra società necessita: continua emancipazione e tutela delle donne, diritti lgbt, e libertà sessuale. Specifico che la libertà sessuale oggi è da intendersi come la liberazione dalla concezione della sessualità come qualcosa di sbagliato e di cui provare vergogna, almeno nel nostro Paese. In Italia si fa ancora fatica a parlare apertamente di sessualità, senza alcun preconcetto. Un uomo vergine a 30 anni fa scandalo, la donna vergine a 30 anni è una santa donna per il compagno, ma magari bugiarda per il mondo intero.
Nel resto del mondo ci sono paesi dove persistono ideali ancora più retrogradi, o al contrario, dove la sessualità è parte integrante della cultura. Ma non voglio andare fuori tema, veniamo al dunque: ognuno è libero di vivere la propria sessualità come vuole; la libertà sessuale, in Italia, le donne se la prendono per diritto. Ma alcuni uomini questo non lo percepiscono, e continuano incosciamente ad agire come se tale libertà appartenesse solo ed esclusivamente a loro. La perversione viene intesa con accezione negativa, perché si sente parlare troppo poco di parafilie (disturbi della sfera sessuale a carattere psichiatrico).
L’uomo può avere perversioni, la donna no; se le hai sei mignotta, se non le hai dovevi farti suora, ma sempre mignotta resti (capito il ragionamento?). Il discorso è sempre uguale.
Il problema sorge nel momento in cui non si concepisce il confine tra quella che può essere una perversione, lecita in virtù della propria libertà, ed una parafilia.
Si può fantasticare e sognare di andare a letto con una donna travestita da scolaretta, con le treccine e la minigonna. Può essere una perversione lecita, realizzabile con il proprio partner se quest’ultimo acconsente.
Fantasticare su una minorenne travestita da scolaretta, è – a prescindere da qualsivoglia fattore – anormale. Si chiama pedofilia. È una parafilia, ed è un reato.
Avere fantasie sui propri figli, è un comportamento incestuoso da ritenersi gravissimo. Ed anche questo, è un reato, che rientra nel concetto di parafilia.
Masturbarsi davanti a delle foto è l’atto autoerotico antecedente all’avvento dei siti porno, se pensiamo al fatto che esistevano riviste edite per quel motivo specifico. Scegliere di filmarsi durante l’atto sessuale, può essere considerata una perversione riconducibile a pratiche quali l’esibizionismo, a patto -sempre- che ci sia un consenso da entrambe le parti, oltre che un’estrema fiducia e rispetto per la propria privacy. Diffondere materiale privato, non è una parafilia, ma è comunque un reato. Masturbarsi davanti a delle foto su richiesta di altre persone, fare questi “tributi”, è da considerarsi anormale. Non so onestamente se rientri nelle parafilie, ma credo che una cosa simile, sia da considerarsi tale.
Stiamo parlando quindi di disturbi gravi, dove raramente chi ne soffre si rende conto di soffrirne, e si reca da un terapeuta. Ciò rappresenta un concreto pericolo sul web per molteplici motivi: per i bambini è semplice venire a contatto col web e, senza le dovute tutele, si rischia di finire in queste vere e proprie gabbie, dove questi soggetti pericolosi si rinchiudono.
È tollerabile la libertà, il vivere apertamente la propria sessualità e le proprie sane perversioni, non è tollerabile al contrario che attraverso il web possano crearsi gruppi, canali, punti di ritrovo per persone convinte di non essere malate, incoscienti del problema o che tentano di nasconderlo, giustificarlo, anche quando non ci sono giustificazioni plausibili.
Questo ampio excursus l’ho trovato necessario ed ho sentito il bisogno di farlo, al fine di sviscerare una problematica che da tempo viene sottolineata, e per la quale ci sono adesso strumenti giuridici con cui cominciare a contrastarla. Non mi dilungherò ulteriormente per parlare di cosa dovrebbero evitare di fare i minori sul web, o cosa si potrebbe fare per attuare un controllo maggiore sui contenuti potenzialmente sensibili pubblicabili sul web o inviati in chat private. Mi limito però, a concludere con una frase che a me, donna, mi è stata detta e che voglio riportarvi con concezione positiva: che sia accettabile o no, anche l’essere troia può rientrare nei diritti di una donna.
Il sesso non è sporco, non lo sono le donne che lo fanno e le perversioni non sono da considerarsi vergognose, come non lo sono le donne che ne hanno. Piacersi, piacere, farlo capire, filmarsi, fotografarsi, non è un crimine. Lo è se fatto senza alcun consenso. Se fatto con la volontà di rovinare la vita di una persona.
La parola “puttana” continuerà ad esistere e le donne continueranno a subirla, ad accettarla, fino ad appropriarsene. Amarsi, denudarsi, godersi, sono cose fantastiche benché, con infinita ipocrisia, se ne dica ancora molto in merito, e forse se si pensasse di più alla gioia nel fare, nel provare, nel viverlo liberamente in due, in tre, in cento, come ci pare e piace senza sentire il peso del giudizio, e senza far diventare il rapporto sessuale una specie di trappola, sarebbe un gran vantaggio per tutti, perché probabilmente chi soffre di parafilie si sentirebbe incoraggiato nel rivolgersi ad un terapista; lo farebbe con serenità.
Credo che demonizzare ancora la sana sessualità -vissuta tra persone consenzienti, responsabili e coscienti- non sia altro che una collaborazione alla nascita di fenomeni di violenza, oltre che al perpetuo rigenerarsi di concezioni maschiliste e femministe in merito: dovremmo smetterla di giudicare una persona in base al numero di rapporti sessuali avuti in un mese. Smetterla di preconcettualizzare il sesso come qualcosa di sbagliato, come qualcosa che va fatto solo per dovere coniugale, a scopo procreativo, come un peccato. Cominciamo ad applicare sul serio le leggi, e cominciamo anche a ragionare con concetti di parità reale, verificabile, sentita. Magari così sarà più semplice arginare la nascita di comunità simili che una volta chiuse si riaprono in numeri quadruplicati, punendo il reato ma aiutando allo stesso tempo le persone che soffrono di parafilie a farsi curare, eliminando in loro ogni genere di timore che nasce unicamente dalla concezione errata che c’è alla base della sessualità.
E magari un giorno avremo un paese meno violento, meno ipocrita, meno sessuofobico.
Meno stronzo, ecco.
di Daniela Russo