Il bisogno impellente di operare un rinnovo strutturale e stilistico dell’immagine rappresentativa della Reggia di Caserta è ampiamente condivisibile; il logo precedente non era sicuramente all’altezza del contesto internazionale in cui è immerso il Complesso Vanvitelliano. Ma le critiche scaturite sui social, proprio sull’account ufficiale del bene UNESCO, lo hanno reso un caso di interesse pubblico.

Nelle parole di presentazione del direttore Tiziana Maffei, il risultato appare come un omaggio al territorio: «Per dare forma a un brand abbiamo fatto emergere i caratteri profondi che connotano la Reggia di Caserta. La storia, che nasce dalla visione di un monarca; l’arte, capace di diventare paesaggio; la cultura, che si trasforma in valore di produttività nel campo artistico, manifatturiero e sociale. La Reggia di Caserta è il più potente sogno dei Borbone. Quale testimonianza di bellezza ma anche espressione di ricchezza produttiva di Terra Felix».
«Il nuovo logo dovrà essere coerente con la storia della Reggia, ma al tempo stesso dovrà essere attuale, vivere il proprio tempo e guardare al futuro. E così il nome stesso diventa logo: Reggia di Caserta, con una distribuzione dei pesi a favore della parola Reggia. […] Il carattere tipografico scelto è stato ulteriormente disegnato e lavorato secondo i principi dell’arte del togliere, rendendolo ancora più leggero e contemporaneo. […] Il nuovo logotipo può essere abbinato, in relazione agli utilizzi previsti, con un monogramma, RC, ulteriore sintesi concettuale e visiva, quasi acronimo, della Reggia di Caserta, in cui le due lettere si fondono, in un abbraccio armonico e forte al tempo stesso. I colori utilizzati sono una diretta derivazione dello stemma della casata: il blu e l’oro, eleganti e regali».
Tiziano Prati, CEO di sigla comunicazione -l’azienda che ha sviluppato l’idea- presenta così il nuovo marchio della Reggia. Leggere la scheda di presentazione e osservare il logo fanno pensare ad una sola parola: banale. Purtroppo è difficile esimersi da un commento, perché con tutta la forza si può provare a farselo piacere, ma è banale ed insignificante, non semplice, come vorrebbe essere.
I commenti negativi
E noi non siamo gli unici a dirlo. Basta cliccare sul profilo Facebook ufficiale della Reggia di Caserta e nel post di presentazione del logo e sotto l’immagine profilo leggere la valanga di commenti negativi che il pubblico ha fatto. “Orribile”, “brutto”, “meglio quello di prima”, “parole vuote, questo logo fa schifo”, “poco riconoscibile”, “il concept è discutibile”, “pare il monogramma di un avvocato o un albergo di lusso”, “Reggio Calabria”, “RdC, Reddito di Cittadinanza”, “sembra una tenaglia”, “scopiazzato”.
Si, scopiazzato. Le persone hanno poi cominciato a fare ricerche attraverso internet proprio perché il monogramma, estremamente “classico”, ricorda nelle forme altri loghi più famosi. E da qui nasce la critica e ci si comincia a chiedere come mai un’azienda grafica che ha preso solo 37.000€ per fare questo brand non si sia degnata di cercare similitudini che avessero potuto stonare con il carattere identitario delle forme presentate.
Giudicate voi.

Infatti sono poi fioccate subito le parodie ad opera di dopolavoro.org.
I casi precedenti
Nella storia del branding, anche recente, sono stati diversi i casi in cui il risultato non ha soddisfatto le aspettative del pubblico. Eclatante fu il caso del logo della Città di Salerno, nel 2011. Vincenzo de Luca, allora sindaco della città, indice un concorso di idee. Vincono due giovani tarantini, Marco De Sangro e Luana Albano, che per sapere di aver vinto devono tartassare il Comune di telefonate. La storia puzza, infatti i due non vedranno mai i 3000€ vinti e non ci sarà mai nessuna cerimonia per presentare il loro lavoro. Invece, poco dopo, de Luca affida su incarico diretto Massimo Vignelli, uno dei più famosi designer del mondo. Il risultato è imbarazzante. Nonostante il concept sia ben spiegato, anche in questo caso la valanga di commenti negativi non tarda ad arrivare. Troppe le assonanze con lo stemma di una squadra di calcio. Il tutto alla modica cifra di 200.000€.

Altro caso recente di branding che non ha riscosso grande successo è quello della Seconda Università di Napoli dopo aver deciso il cambio del nome -e anche sulle modalità di scelta ci fu una bufera- in Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. Qui fu immediatamente mossa la critica perché il logo era pari pari quello di Virgilio Notizie. Nonostante anche in questo caso il concept fosse davvero ben spiegato e convincente.

Insomma gira tutto intorno a Vanvitelli, che chissà cosa starà pensando in questo momento…

I quesiti in sospeso
Chiediamo trasparenza sull’incarico e vogliamo sapere perché è stato affidato proprio ad un’azienda di Modena -badate bene la Reggia è un monumento patrimonio dell’umanità, sarebbe potuto essere assegnato a chiunque nel mondo.
Domandiamo se ci sarà il coraggio di lasciare quella valanga di commenti negativi sotto l’immagine ufficiale del profilo Facebook e speriamo che non sia per fare quel marketing spicciolo del “purché se ne parli”.
Vogliamo sapere perché non sia stato pensato un concorso di idee al quale avrebbe potuto partecipare la cittadinanza. Eppure stiamo attraversando un periodo veramente complesso, molte menti brillanti che lavorano in questo campo avrebbero potuto dedicarsi con passione. La partecipazione avrebbe avvicinato la Reggia alla comunità. Invece o’ palazzo è sempre più lontano, molto più che ai tempi dei Borbone, quando le 4 corti erano aperte alla cittadinanza.
Insomma questa storia non ci piace, come non ci piace il logo. Per concludere riportiamo qui le parole dell’architetto Raffaele Cutillo: «Al di là del giudizio estetico_comunicativo, semplicemente non comprendo la necessità di tutto questo. Una addizione inutile ad un monumento che si lascia intendere da se’. L’immagine coordinata è, intanto, derivante dalla forma mentis di una qualsiasi algida azienda e non credo che questo complesso, e ciò che rappresenta al mondo, vada inteso in questo senso. P.S. un logo deve avere lettura immediata e trasversale per qualsiasi fruitore (dotto e non dotto) e non va mai specificato, o esplicitato, da un testo che ne spieghi il contenuto».
di Francesco Cimmino