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Quando non si paga la Tari: i chiarimenti

Davide Daverio 24/02/2023
Updated 2023/02/24 at 11:06 AM
8 Minuti per la lettura

La Tari, tassa sui rifiuti, va sempre pagata? Quali sono i casi in cui si può beneficiare di esenzione? E se il servizio di raccolta dei rifiuti non funziona, bisogna comunque pagarla? Andiamo per ordine, e prima di tutto analizziamo quali sono i principi impositivi della tanto discussa gabella.

Che cos’è la Tari

La tassa sui rifiuti, correntemente indicata con l’acronimo “TARI”, ed ancor prima “TARSU”, non è altro che il tributo destinato a finanziare i costi riguardanti il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani. La legge prevede che il presupposto oggettivo della TARI sia il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Non tutti i locali e le aree scoperte, però, sono qualificati come presupposti di imponibilità. Difatti, sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva.

Il presupposto soggettivo della Tari

Chiarito quale sia il presupposto oggettivo per l’imponibilità della tassa, passiamo ora ad individuare il presupposto soggettivo. Il Ministero competente ha chiarito che i soggetti passivi sono tutti coloro che posseggono o detengono il locale o l’area e, quindi, i soggetti utilizzatori dell’immobile. Ma ciò non vale per tutti i casi, poiché se la detenzione dell’immobile è breve, o di durata non superiore a sei mesi, la tassa non è dovuta dall’utilizzatore ma resta esclusivamente in capo al possessore, che potrà essere, a seconda dei casi, il proprietario, il titolare di usufrutto, di uso, di abitazione o di superficie. In caso di pluralità di utilizzatori, invece, essi sono tenuti in solido all’adempimento dell’unica obbligazione tributaria.

Quando non si paga la tassa: i due casi

La tassa non è dovuta, invece, per le aree comuni condominiali che non risultino detenute o occupate in via esclusiva, i solai, le cantine e i locali in cui, in determinate circostanze temporali, non è possibile produrre rifiuti. Al netto delle riduzioni previste per legge, analizziamo altri due casi importanti, che non sono specificamente previsti dalla legge, ma che si verificano sempre più spesso nella realtà. Il primo riguarda la casa non abitata, mentre il secondo concerne la mancata erogazione del servizio di raccolta dei rifiuti da parte degli enti preposti.

Riguardo al caso in cui l’immobile non sia abitato, La Corte di Cassazione ha più volte sottolineato “che ciò che rileva ai fini del sorgere dell’obbligo tributario è la potenzialità del locale o dell’area a produrre rifiuti” precisando che “la semplice mancata utilizzazione, di fatto, dei locali o delle aree, che dipenda da una decisione soggettiva dell’occupante, non è sufficiente per escludere l’imposizione”. Pertanto, il contribuente deve provare che il locale o l’area non sono idonei a produrre i rifiuti in ragione delle sue oggettive condizioni d’inutilizzabilità.

Secondo la Corte di Cassazione ed il Ministero, “la presenza di arredo o di una sola utenza di rete è sufficiente a far sorgere il presupposto impositivo sulla base della presunzione, valida fino a prova contraria a carico del contribuente, di utilizzazione dell’immobile”. Quindi, laddove vi sia assenza sia di arredo che di utenze viene a mancare il presupposto impositivo, ed il tributo non sarà dovuto. In ogni caso, bisogna tener sempre presente che il Comune, con un proprio regolamento, potrà introdurre altri indici che prevedano la presunzione di imponibilità, ma devono comunque essere indici che rivelino concretamente l’uso dell’immobile da parte del contribuente.

La mancanza di allacciamenti di utenze di rete può essere dimostrata dal contribuente con documentazione scritta, mentre l’assenza di arredi può essere provata tramite ispezioni del comune, tramite dichiarazioni del contribuente accompagnate da rilievi foto/video dei luoghi, oppure attraverso la prova di aver sempre abitato in altro immobile per il quale si abbia corrisposto, per il periodo impositivo, il relativo tributo sui rifiuti.

Mancata erogazione del servizio di raccolta: il caso di Napoli

Riguardo al secondo caso, invece, ovvero se il tributo sia dovuto anche in caso di mancata erogazione del servizio di raccolta dei rifiuti, la Cassazione si è pronunciata in merito con una recentissima ordinanza (2374/2023) che sicuramente produrrà notevoli conseguenze.

Il caso prende le mosse dal contenzioso giudiziario instauratosi tra una società titolare di un Ipermercato di Napoli ed il Comune di Napoli, in relazione ad un avviso di pagamento relativo alla TARI che il contribuente avrebbe dovuto pagare, ma che invece non aveva pagato, pretendendo la rideterminazione dell’ammontare dell’imposta a causa della mancata erogazione del servizio. In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva le doglianze dell’Ipermercato. Il Comune di Napoli impugnava la decisione innanzi alla Commissione Tributaria Regionale che ne accoglieva l’appello. La società titolare dell’Ipermercato ricorreva per Cassazione.

La Corte ha accolto il ricorso poiché la legge (art. 59 co. 4, dlgs n. 507/1993) stabilisce che se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di residenza o di dimora o di esercizio dell’attività dell’utente o è stato effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2, ovvero in misura non superiore al 40% della tariffa da determinare in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita.

Ovviamente viene facile comprendere che la portata di una simile decisione non è affatto trascurabile, soprattutto se rapportata alle zone depresse in cui il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti non solo non funziona a pieno ritmo, ma trascina con se lacune mai colmate.

I giudici, però, hanno anche precisato che la riduzione tariffaria non opera infatti quale risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti, e men che meno quale «sanzione» per l’amministrazione comunale inadempiente, bensì al diverso fine di ripristinare – in costanza di una situazione patologica di grave disfunzione per difformità dalla disciplina regolamentare – un tendenziale equilibrio impositivo (entro la percentuale massima discrezionalmente individuata dal legislatore) tra l’ammontare della tassa comunque pretendibile ed i costi generali del servizio nell’area municipale”. Quindi è bene sapere che non si tratta di una pronuncia che lascia campo libero alle richieste di risarcimento nei confronti dei comuni, ma solo a richieste di riduzione dell’imposta realmente provate.

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