È noto, taluni giornali seguono impunemente la tesi del ‘purchè se ne parli‘, così da avviare un tam-tam di sconcerto, risentimento o acredine che sollevi l’attenzione del web e porti vendite e/o clic grazie ad articoli sovente di discutibile interesse e spessore.
Oggi Libero in prima pagina ha pubblicato un articolo dal titolo visibilmente provocatorio, tale da aver generato immediate reazioni politiche: “Terroni, in Italia comandano loro: per questo sono tutti contro Matteo Salvini”. Autrice una tal Azzurra Noemi Barbuto che come ultimo post su Facebook pubblica il copia incolla di una sgradevole offesa nei suoi confronti e che dichiara testualmente: “Attacchi ingiustificati da Di Maio per questo mio pezzo in cui fotografo solo la realtà: comandano i terroni e i polentoni sono costretti a calare le braghe. Cosa c’è di offensivo? C’è un elenco di cariche istituzionali del Sud e ne parlo Con orgoglio essendo terrona anche io e orgogliosamente calabrese. Prima di criticare sarebbe doveroso LEGGERE.” Io ho letto e devo riconoscere che il contenuto dell’articolo è ancora più inquietante ed incomprensibile del suo titolo soprattutto perchè, da terrona, l’appartenenza territoriale non dovrebbe indurre a classificazioni separatistiche di provenienza, ma di merito. La premessa delle sue origini, quindi, la interpreto come una ulteriore penalizzazione per quanto pubblicato, nello sconcertante elenco di città native, studi e trascorsi delle maggiori cariche istituzionali. L’unico ad essere esonerato è proprio il povero ed ‘osteggiato’ Matteo Salvini, di cui la giornalista evita di citare la lontana partecipazione a due quiz televisivi, un passaggio di facoltà universitaria senza esito di laurea, un lavoro presso un fast food.
Gentile Azzurra, le hanno mai detto che le informazione da lei offerte le fornisce anche Wikipedia?
Ecco l’articolo, per chi volesse approfondire senza cliccare sul giornale di Vittorio Feltri.
“Mentre vengono intavolati e consumati dibattiti perditempo in cui dotti opinionisti sentenziano che questo governo è a trazione leghista, per poi essere contraddetti da altri colleghi i quali sostengono che a tracciare le linee-guida dell’ esecutivo siano i cinquestelle, un dato emerge incontrovertibile: i terroni nelle istituzioni attualmente la fanno da padroni.
E sottolineo questo trend con fierezza, poiché sono terrona anch’ io, pur non essendo una tifosa del derby Nord-Sud e non appassionandomi a romantici e noiosi campanilismi oramai desueti.
Del resto sembra che i rancori intestini abbiano ceduto il passo a idiosincrasie intestinali nei confronti di ciò che sta oltre i confini nazionali e non da Roma in su o da Roma in giù. Pressurizzati come siamo da un’ Europa severa che ci impone regole e austerità e da un indisciplinato continente africano che preme su di noi come ettolitri contro la diga ci siamo scoperti tutti abitanti di una stessa nazione, l’ Italia, e abbiamo rispolverato il patriottismo, coniando altresì un nuovo termine, ossia «sovranismo», e reinventandone un altro che già fu in voga, ovvero «populismo». Abbiamo così sostituito al tradizionale dualismo polentone-terrone, divenuto adesso binomio politico addirittura vincente, la dicotomia italiano-extracomunitario. Ed è accaduto persino l’ impossibile: ossia che il leader della Lega Nord, deposte le felpe verdi da montanaro, sia diventato vicepremier di un governo in cui il connubio tra settentrionali e meridionali non è stato mai così spiccato e dove su 18 ministri ben 7 sono terroni e 3 di Roma.
In Consiglio dei ministri – Anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è nato e cresciuto nel Mezzogiorno, e precisamente a Volturara Appula, paesino della provincia di Foggia, Puglia, prima di fare le contestate esperienze professionali (inserite nel suo curriculum) presso l’ Università di Yale e la Sorbona.
E terrone non è soltanto il premier, ma anche la prima carica dello Stato, il mite presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sotto la cui apparente flemma brucia e bolle l’ animo di un palermitano doc. Sergio, che è stato tirato su a panelle di ceci e politica, dato che il suo papà, Bernardo, ligio democristiano, fu ben cinque volte ministro tra i ridenti anni Cinquanta e Sessanta, ha vissuto sulla sua pelle anche gli aspetti oscuri e mostruosi della sua terra natale. Suo fratello maggiore Piersanti, allora presidente della Regione Sicilia, nel 1980 fu ammazzato da Cosa Nostra. Indro Montanelli diceva che «i continentali hanno delle ragioni che la ragione siciliana non conosce», per sottolineare il fatto che gli abitanti dell’ isola possiedono un modo tutto loro di essere e di pensare, inciso in codici di comportamento. Osservando Mattarella, mentre se ne sta abbottonato nel suo ermetico silenzio, con la sua aria mesta e serena ed i suoi occhi azzurro cielo, ci si aspetta che tutto ciò che dirà e farà sarà per forza giusto.
La tesi sui neomelodici – Ed è meridionale anche la terza carica dello Stato. Sì, lui, proprio lui, l’ uomo che confonde l’ ègida con Egidia, che ancora non sappiamo chi diavolo sia, il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico da Napoli, appassionato di napoletanità tanto da redigere una tesi di laurea dal titolo “Identità sociale e linguistica della musica neomelodica napoletana”. Anche lui, come il premier, è volato all’ estero, precisamente ad Helsinki, dopo essersi aggiudicato una borsa di studio Erasmus, giusto per tentare di scrollarsi di dosso un po’ di provincialismo. Tra le varie occupazioni ricoperte, ove figura anche quella di impiegato in un call-center, Fico ha fatto l’ importatore di tessuti dall’ Africa. E per un bizzarro déjà vu ora si batte perché importiamo immigrati dalle stesse sponde.
Nel triumvirato di governo costituito dal primo ministro Conte e dai titolari dei dicasteri dell’ Interno e del Lavoro, in ordine Matteo Salvini e Luigi Di Maio, i polentoni sono in minoranza schiacciante. Pure Luigino infatti è terronissimo. Nato ad Avellino e cresciuto a Pomigliano d’ Arco, in provincia di Napoli, dove ha trascorso anche le estati in ammollo nella piscina smontabile della villetta rigorosamente abusiva di famiglia, Di Maio non aveva le idee chiare, conseguita la maturità classica, riguardo ciò che avrebbe fatto nella sua esistenza. Si iscrisse prima alla facoltà di ingegneria, poi ci ripensò e passo con un volo pindarico a quella di giurisprudenza, che con la prima ha molta attinenza del resto, proprio come il giorno e la notte. Alla fine, Luigino tagliò la testa al toro: nel dubbio amletico su cosa studiare preferì mollare direttamente gli studi e distribuire bibite allo stadio. Forse che intravedeva nel prossimo futuro una brillante carriera politica in cui laurea, preparazione, competenze, sarebbero stati elementi superflui, addirittura inutili?
Gli altri ministri provenienti dalla punta dello stivale sono la svirgolata Barbara Lezzi, leccese, ministro per il Sud, la quale per ogni riccio ha una gaffe; Alfonso Bonafede, alla guida del dicastero della Giustizia, di Mazara del Vallo, provincia di Trapani; il napoletano Sergio Costa, ministro dell’ Ambiente; la catanese Giulia Grillo, ministro della Salute; il ministro per la Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno, palermitana tanto quanto Mattarella, donna di ferro e terrore dei fori italiani; infine, Paolo Savona, ministro per gli Affari europei tacciato di antieuropeismo, nato a Cagliari.
Giudici ed economisti – E non è mica finita qua. Ai vertici istituzionali siedono altri uomini del Sud: Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, della provincia di Latina; Giorgio Lattanzi, presidente della Corte Costituzionale, romano; Giovanni Mammone, avellinese, primo presidente della Corte Suprema di Cassazione; il napoletano Filippo Patroni Griffi, presidente del Consiglio di Stato; Ignazio Visco, governatore della Banca d’ Italia, anch’ egli del capoluogo campano; e infine il barese Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’ Italia e presidente dell’ Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, l’ IVASS.
Per la legge del contrappasso il polentone Salvini, proprio lui, si trova ora a dividere il potere e il timone del governo con un esercito di terroni. Inevitabile che qualche volta cali le braghe, per quieto vivere, anzi per quieto sopravvivere, almeno per qualche mese ancora. I leghisti volevano frazionare l’ Italia e hanno poi finito – paradosso – con l’ unirla mediante il matrimonio combinato (e scombinato) tra Matteo e Luigi. Non vi è dubbio su chi dei due fuori casa porti i pantaloni. Ma tra le mura domestiche è tutta un’ altra storia: a comandare sono i terroni. Punto. La maggioranza.”