Nell’era post-pandemica e dell’innovazione informatica, con il conseguente utilizzo spasmodico dei social network, i problemi psicologici sono inevitabilmente in aumento esponenziale, soprattutto tra i più giovani, che troppo spesso, purtroppo, lasciano nell’ombra insicurezze e timori guidati da falsi miti di debolezza di cui la società si cinge padrona. Ma davvero andare fare psicoterapia nel 2023 è sinonimo di scarso temperamento e incapacità di gestire le proprie emozioni?
Quali figure professionali esistono
Lo psicologo si occupa principalmente di fornire sostegno, consulenza e diagnosi; l’attività psicologica è orientata alla riabilitazione, ma non è curativa. Non è un medico, si occupa semplicemente della valutazione dei bisogni con la conseguente promozione del benessere in termini psicologici.
Lo psicoterapeuta invece, lavora sulla patologia, ovvero sul sintomo specifico, avendo fini curativi.
Lo psichiatra si occupa di disturbi mentali a carico del sistema fisico dell’essere umano, essendo medico, può diagnosticare disturbi psichici e psichiatrici, prescrivere farmaci, effettuare analisi mediche e impostare una terapia psicofarmacologica.
Le tre figure professionali sono spesso circondate da luoghi comuni, talvolta, vengono anche confuse tra loro, alimentando stereotipi come quello in cui un semplice colloquio psicologico, al fine di confrontarsi con una figura professionale in un comune momento di sconforto, possa essere scambiato per la sintomatologia di una grave malattia mentale.
Al giorno d’oggi, questa concezione ambigua, è molto diffusa oltre che fra i giovani, dai genitori degli stessi, rischiando di negare ai figli un colloquio che potrebbe risultare utile al fine di fornire un ottimo spunto d’analisi da cui trarre innumerevoli benefici.
Intervista al Dott. Giovanni Mercogliano
Per questo motivo, abbiamo deciso di intervistare il Dott. Giovanni Mercogliano, psicologo e psicoterapeuta esercitante a Nola (NA) da oltre quarant’anni, oltre che ex professore di filosofia presso scuole secondarie di secondo grado, dove è stato ampiamente in contatto con i ragazzi.

Cosa significa “fare psicoterapia”?
«Innanzitutto bisogna tenere in considerazione il fatto che l’uomo è un essere a tre dimensioni: è costituito da una sfera biologica, una psichica e per chi crede, anche da quella spirituale. Quando in una di esse si riscontra una problematica ci si rivolge a chi di dovere; lo psicoterapeuta si occupa della psiche dell’individuo. La gravità di una patologia si misura dal grado di aderenza alla realtà che si vive: quanto più ci si distacca dalla realtà e se ne crea una propria, nel mondo fittizio, tanto più si è patologici».
Come valuta il quadro generale della situazione psicologica attuale in Italia, dopo le turbolenze pandemiche?
«Gli studiosi ammettono che c’è stato quest’evento particolare per la quale molte persone hanno avuto un disturbo post-traumatico, ragazzi, ma anche adulti, hanno subito delle forti ripercussioni in ambito psicologico, sviluppando anche depressione o altre patologie della psiche. Un termine che ricorre frequentemente è “resilienza”, l’atteggiamento cioè, di usare un elemento negativo per ottimizzare il proprio rendimento; esso può portare ad uno scoraggiamento, ma anche diventare un trampolino di lancio, chiaramente con delle caratteristiche di ottimismo che l’individuo deve ricercare nella propria psiche; sicuramente quindi, la situazione pandemica ha avuto la capacità di creare disturbi ansiosi, ossessivi, o comunque di altra natura, però potrebbe diventare anche un trampolino di lancio per la scoperta di sé stessi».
Quale impatto sta riscontrando sui giovani in merito ai vari Social Network?
«Questa è un epoca nella quale la dipendenza è purtroppo abbastanza diffusa. Personalmente faccio la differenza fra dipendenza e indipendenza; pur essendo entrambe negative, i giovani passano molto spesso dall’una all’altra, lasciando l’autonomia poco presente. Entrambi gli atteggiamenti vanno combattuti in virtù di una concezione di autonomia, che a differenza dell’atteggiamento di indipendenza, non lascia le circostanze altrui nell’ombra ma le accetta, ragionando poi, con le proprie capacità».
In merito ai giovani, qual è l’approccio che utilizza la prima volta quando si interfaccia con un ragazzo?
«Innanzitutto bisogna metterlo a proprio agio, per farlo, bisogna ascoltarlo; la forza di uno psicologo è quella che egli non valuta, non interpreta, non sostiene; cerca solo di ascoltare e trarre, proprio dall’ascolto, il problema; a seguito della quale, cercare insieme una soluzione».
Cosa direbbe ai ragazzi che vivono un momento buio della propria vita, ma non trovano il coraggio di effettuare un colloquio con uno specialista per paura di sentirsi “sbagliati”?
«Questo momento negativo potrebbe diventare una risorsa; ognuno di noi ha sviluppato al minimo le proprie potenzialità e se venisse aiutato, potrebbe essere capace di sviluppare molte capacità che sono ancora in germe».
Al giorno d’oggi un colloquio con un professionista ha costi spesso molto elevati, quali sono le soluzioni per chi non riesce a sostenere una tale spesa in modo continuativo?
«In Italia si sta facendo, da parte della Società di Psicologia, pressione sul governo perché possa dare, oltre al medico di base, l’apporto di uno psicologo, mettendo al pari salute fisica e mentale».
Infine, è stato fatto un appello proprio rivolto ai più giovani:
«Molte volte lo psicologo viene definito scherzosamente “amico a pagamento”, è importante per capire come poter affrontare i propri sconforti, ma essi si possono risolvere anche con l’amicizia vera, naturalmente in mancanza di situazioni o patologie più delicate, in tal caso è sempre bene rivolgersi ad un professionista. Spesso le persone vanno dallo psicologo semplicemente per parlare e sfogarsi, senza essere giudicati; un ruolo che dovrebbero avere anche amici e familiari in primis, ma che purtroppo, non viene sempre ben svolto, col rischio di credersi prigionieri di un vortice senza uscita».