Gli Stati Generali delle donne sono un coordinamento permanente, un forum utile all’interlocuzione e al confronto con le Istituzioni, nell’ambito delle politiche del lavoro e non solo. Un vero e proprio strumento utile per dar voce alle donne, con una struttura capillare che interessa tutti i territori italiani. Il percorso inizia nel 2013 e si concretizza il 14 Dicembre 2014, quando Isa Maggi apre a Roma, presso il Parlamento europeo, un confronto innovativo su rilevanti tematiche sociali.
Da quel giorno ad oggi tanto è cambiato, soprattutto se pensiamo alla pandemia globale e al conseguente Recovery Fund. Abbiamo, quindi, intervistato la dottoressa Maggi per capire quanto questo strumento sarà importante per ridurre il famoso gender gap.
Il Recovery Fund è una grande opportunità o sarà l’ennesimo assalto alla diligenza?
«Il testo del Recovery Plan, approvato come Piano Nazionale di Ripresa Resilienza (Pnrr), punta a rendere l’Italia più inclusiva e sostenibile, con una serie di riforme ritenute necessarie per superare la crisi causata dal Covid-19. Donne e giovani sono al centro della missione Inclusione e Coesione.
Superare il gender gap, migliorare l’accesso al mondo del lavoro per giovani, persone in situazione di fragilità e disabili sono i pilastri sui quali si fonda la missione prevista dal testo del Recovery Plan.
Da una revisione delle politiche attive per il lavoro, fino al sostegno alle famiglie e alle genitorialità, si stanziano un totale di 27,26 miliardi di euro. La parola Inclusione è da sdoganare perché le donne non sono il segmento debole del mercato del lavoro e della società.
Continuare ad utilizzare la parola INCLUSIONE vuol dire perpetuare lo stereotipo del fatto che le donne sono deboli, e quindi da “includere”».
Ci sono abbastanza fondi per l’empowerment delle donne?
«I fondi destinati alle donne sono esigui e, soprattutto, si concentrano su azioni non innovative. Sui contenuti abbiamo più volte ribadito la necessità di destinare almeno il 30 % dei fondi a un nuovo New Deal per le donne. Solo noi saremo in grado di ricreare le condizioni per nuovo lavoro e un nuovo welfare.
Abbiamo inviato al Ministro Amendola e alla Presidenza del Consiglio, come Alleanza delle Donne e Stati Generali delle Donne, un Piano nazionale per l’occupazione femminile che contiene anche un Women in Business Act destinato a promuovere l’imprenditoria femminile italiana.
Sì, perché deve essere chiaro che parlare di imprese femminili, quelle che hanno resistito nella crisi del 2008, vuol dire parlare di imprese con loro specificità ed esigenze, anche in funzione di nuovi processi di internazionalizzazione. Occorre un Piano nazionale per l’occupazione femminile, a 360° e non servono più altre Commissioni Intra/fra parlamentari. Ne abbiamo troppe.
Cosi come abbiamo richiesto nel “Patto delle donne” già a partire dal 2015, che occorre un’Agenzia per le Donne, snella, efficiente, operativa. Lo abbiamo proposto al Governo. Anche per affrontare concretamente il tema delle procedure per la elaborazione del PNRR, strumento per uscire dalla crisi provocata dalla pandemia e ricostruire un nuovo modello economico di produzione e consumo.
Come e quando il Governo discuterà il Pnrr con la società civile non si sa.
Faranno altri Stati generali chiamando influencer, cantanti e ballerine come a giugno?
«Il nuovo Governo dovrà decidere chi lo attuerà (il nuovo Cipess?) e come verrà realizzato il monitoraggio in itinere. Non si sa nulla e questo rende ancora più incerto il futuro di #noidonne. Ma occorre fare presto #oraomaipiù».
Quanto è distante culturalmente l’Italia dall’Estonia dove presidente e presidente del consiglio sono donne?
«Il nostro Paese figura tra quelli che spenderanno meno degli altri per l’istruzione per la gender equality, a parte gli asili nido, e i giovani. La Francia spicca per gli obiettivi sulla transizione energetica, la spesa a favore delle imprese (31,4 miliardi) e su lavoro e giovani (11,6 miliardi). La Spagna per la spesa in ricerca e sanità (il 16,5% dei fondi) e sull’istruzione e il piano asili nido (17,6%).
Nei Paesi dove le figure decisionali politiche sono donne l’ambito di intervento è decisamente più orientato all’equità e all’affermazione dei pilastri della parità.
Cosi come abbiamo visto in questi mesi per la gestione dell’emergenza sanitaria, i Paesi dove le donne sono al potere, la situazione è decisamente affrontata con lungimiranza e con risultati estremamente favorevoli per l’intera collettività.
Analizzeremo queste posizioni il prossimo 27 febbraio in una maratona per l’Europa, dalle ore 15 alle ore 21. Con interviste dirette dalle principali città europee».
di Anna Copertino
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°214
FEBBRAIO 2021