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Piero Antonio Toma, la forza delle voci che fanno cambiare idea

Redazione Informare 04/06/2021
Updated 2021/06/04 at 5:16 PM
7 Minuti per la lettura

Piero Antonio Toma è un giornalista, scrittore ed editore italiano. Ha collaborato a numerosi quotidiani da Il Mattino al Corriere della Sera, alla Gazzetta del Mezzogiorno, a Il Sole 24 ORE, dove è rimasto per una ventina d’anni. Attualmente collabora con La Repubblica ed è stato fondatore e direttore di numerosi periodici.

Un ragazzo classe 33, che da Tuglie di strada ne ha fatta.  Quanta tenacia, passione e studio occorrono per realizzare i propri sogni? 

«Intanto me ne hai attribuiti un paio in più, sono nato il giorno delle Idi di marzo (giorno quanto mai…nefasto) del 35. Per la verità ufficialmente sono nato…due volte, la seconda cinque giorni dopo.  Per quanto concerne la domanda diventa semplice risponderti così: la vita, almeno per me, è una continua sfida con me stesso. Il quale me stesso è un rompiballe che non immagini quanto. Non è mai soddisfatto e ne vuole sempre una nuova. Cioè un altro obiettivo da raggiungere.  Ormai mi ci sono addestrato e il ritmo potrà tenersi finché cuore e cervello saranno al loro posto funzionanti, sia pure con qualche rimbambimento inevitabile per via dell’età. Qualche volta chiedo una tregua, giusto per riprendere fiato ed essere in grado di impratichirmi nella sfida successiva. Ma in tutto questo percorso, ed è forse la caratteristica che la sfida mi impone, è la fretta. Credo che la fretta sia insieme un grande pungolo ma anche un grosso limite» 

Che valore ha, per lei, la parola riscatto?  

«Il riscatto è il viaggio. Nella mia vita me ne sono andato da vari luoghi riscattandomi di volta in volta col portarmi nel cuore o collocando nella galleria genealogica delle mie conoscenze, l’altrove metabolizzato e di cui servirmi a tempo debito. Due sole volte il riscatto è diventato un debito che si estingue col ritorno. La prima volta fu quando me ne sono andato dal mio paese e la seconda quando me ne vado da Napoli, rimanendoci. E in entrambi il ritorno-debito va saldato. Come? Scrivendo libri che dedico al mio paese (che mi ha dato i natali) e a Napoli (che mi accoglie alla grande)».

Quanto le donne, sono state “incipit” nella sua vita?  

«Molto. Il mio primo libro di racconti autobiografici scaturì da una scommessa con una mia cara amica che mi stuzzicò, siamo alla fine degli anni 70, affermando che non avrei mai saputo scrivere nulla di diverso dai miei abituali resoconti giornalistici. E così addivenimmo ad un gioco-scommessa. Lei mi avrebbe suggerito una parola ed io vi avrei imbastito un racconto. E così è nato il mio primo libro “Tuglie, storie di un paese”, edito da Gallina se non ricordo male nel 1979 e di cui Domenico Rea scrisse un commento esageratamente benevolo.  Alle donne poi ho dedicato molti miei versi, specialmente ai miei anni verdi. Ecco i titoli delle prime e ultime raccolte poetiche “Riforno” e “Lunario d’estate”». 

Perché si decide di fare il mestiere di giornalista?  

«All’inizio cercavo di denunciare la perifericità del mio paese contigua con una drammatica diseguaglianza sociale. Come? Narrandone le vicende sui giornali. Ho esordito da corrispondente di alcuni quotidiani locali e nazionali. Ero piuttosto giovane, sì e no 16 o 17 anni. Spero di aver fatto la mia parte. Per la verità in quel periodo di libri ne circolavano pochi. Io ho frequentato i primi quattro anni delle Elementari senza un libro, ma solo quaderni e quaderni per scriverci di tutto e di più. Soltanto alla quinta arrivò il “Cuore” di De Amicis.  Ecco perché all’inizio della mia adolescenza m’era venuto l’ùzzolo di fare il bibliotecario. Ma dov’erano da quelle parti le biblioteche? E poi certi gridi di dolore del mio paese ebbero la meglio per farmi cambiare idea». 

Avete scritto “A suon di parole”, un romanzo individualmente autobiografico, a quattro mani; mentre le canzoni del cd – in allegato al libro – che hanno diversi temi di contenuto sociale, come sono nate? Prima la musica o prima il testo? 

«Le 13 canzoni contenute nel cd sono nate prima da ingredienti di cronaca e di società che hanno ampio respiro e tutte rispondono al principio dell’“etica attiva”. Ed ecco il giornalista tornare a galla. Siamo partiti dall’acqua, come patrimonio da non sperperare e la cui penuria purtroppo miete tante vittime nei paesi del terzo mondo. E poi via via abbiamo toccato i temi della migrazione e dell’emigrazione di tanti nostri giovani costretti a recarsi all’estero per ragioni di studio e di lavoro. Abbiano dedicato un doppio omaggio alla cultura, alla storia e all’arte, da salvaguardare, e altri due titoli all’amicizia e alla vecchiaia. Abbiamo salutato con un sorriso il caffè, la nostra bevanda più identitaria. Senza tralasciare né la denuncia della tossicodipendenza né dei tanti esseri umani lasciati morire in mare.  Abbiamo riservato una canzone anche al nostro Paese così ricco di bellezza, di arte e di operosità.  Inoltre abbiamo detto grazie a Greta Thunberg per la sua battaglia in difesa dell’ambiente. Non potevamo poi dimenticare la pandemia e la speranza del dopo. Un panorama dunque abbastanza ampio e idoneo non solo per ascoltare piacevolmente versi e musica, ma anche per meditarci sopra. Un’ultima canzone, cioè la quattordicesima, è tratta da alcuni bei versi di Luigi Compagnone il cui titolo può essere una metafora sulla pandemia (“VIerno vattenne”) e che Lino ha interpretato con particolare perspicacia artistica, come peraltro ha fatto con tutte le altre nostre canzoni».

di Anna Copertino

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE 

N°218 – GIUGNO 2021

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