È morto nel giorno della sua nascita, il 2 novembre, quando avrebbe compiuto 80 anni. Ci scherzava, su questa data. Nato e morto nel giorno dei morti, Gigi Proietti, che grande risata si farebbe nel dirlo. L’ironia del paradosso, tipica del teatro, ha voluto forse accompagnare fino all’ultimo l’uomo che del teatro era l’incarnazione, sigillando con perfetta simmetria e unicità il suo passaggio tra i mortali. Noi, mortali. Perché Gigi Proietti, anche se gli farebbe strano sentirlo, sarà vivo sempre nella memoria universale e nella cultura, quella italiana, ma soprattutto in quella romana. Lui che, come ha detto Marisa Laurito, “era romano dalla punta dei capelli fino ai piedi” e che Roma l’ha raccontata, attraverso il teatro e poi il cinema e poi la TV, nelle sue mille sfaccettature e contraddizioni, unendo lo spirito popolare ai temi colti.
Gli esordi e il teatro
Il teatro, Gigi, lo incontra per caso: alla Sapienza frequenta giurisprudenza, ma inizia a seguire dei corsi teatrali che l’università teneva in alternativa a quelli della più prestigiosa Accademia, di Silvio D’amico. Debutta con il Can-Can degli italiani nel 1963, dieci minuti memorabili. Saranno questi gli anni in cui, diretto da Giancarlo Cobelli, apprenderà l’arte della mimica, una tecnica che farà sua e che emergerà tutte in tutte le sue opere, imparando a fondere la gestualità e il corpo con la sperimentazione del linguaggio. Proprio la parola e il linguaggio saranno invece oggetto di studio quando nel 1966 farà parte del “Teatro del 101”, con Piera Degli Esposti e Antonio Calenda, che si ispirava alle avanguardie europee mettendo in scena opere del teatro Dada, fino a Genet, Vian, Brecht. Negli anni a seguire recita con Vittorio Gassman, Monica Vitti, Carmelo Bene, Ugo Gregoretti.
Poi, il 1976: anno di svolta per la sua carriera teatrale e cinematografica, ma soprattutto per lo spettacolo italiano. Al Teatro Tenda approda “A me gli occhi, please” il primo one-man show di Proietti che sarebbe dovuto restare in palinsesto solo pochi giorni e invece vi resta per ben 3 anni. Uno spettacolo retto e diretto interamente dall’attore, solo una cassa come oggetto di scena e una piccola orchestra; uno spettacolo che sdoganava gli stereotipi della borghesia romana e restituiva il teatro al popolo, nel solco storico di Goldoni.
Cinema e televisione
Sempre nel 1976 esce nelle sale “Febbre da cavallo”, in cui è protagonista con Enrico Montesano e Mario Carotenuto, dando vita al celebre Mandrake, l’accanito scommettitore di cavalli che inventa ingegnose truffe per non finire sul lastrico. Il film non sarà acclamato da subito, ma negli anni è diventato un vero è proprio cult che descrive con ironia una Roma disonesta ma autentica. Conquista poi il grande pubblico com le fiction su Rai1 come “Il maresciallo Rocca” e la più recente “Una pallottola nel cuore”.
Il Doppiaggio
Estremamente versatile e multiforme, aveva modi di narrare unici e una vocalità elastica che ha sempre coltivato, soprattutto per passione, attraverso la musica, ma che gli ha anche permesso di doppiare tanti personaggi, dal cinema internazionale alle produzioni Disney: è stato la voce di Sylvester Stallone nel primo “Rocky”, di Robert de Niro in “Casinò” conquistando il Nastro D’argento nel 1997 e del Genio in “Aladdin”, doppiaggio per cui è rimasto nel cuore di quei bambini del 2000 che ora, cresciuti, lo ricordano.
Gigi Proietti è stato un uomo, attore per antonomasia, che è riuscito a fondere il teatro popolare con l’opera lirica, a raccontare la romanità con gli il teatro di Shakespeare e con la storia antica. Nei suoi spettacoli convivono in perfetta armonia il corpo e la mente, l’alto e il basso, il popolo e l’élite: Gigi Proietti aveva un talento innato supportato da una tecnica straordinaria, come hanno ricordato i più noti critici teatrali, e un’ironia raffinata che partiva soprattutto dal corpo e dalle mille espressioni in cui il suo volto sapeva piegarsi. Dava vita alla risata con la spontaneità delle sue idee, sempre inaspettate e mai banali, con i suoi silenzi scenici e i suoi tempi. Coinvolgeva il pubblico sapientemente perché lui stesso si poneva in posizione orizzontale rispetto alla gente, senza mai salire un gradino più sopra.
Pino Strabioli, che lo conosceva bene, lo ha definito oggi “un vero intellettuale divulgatore. È riuscito a portare a teatro chiunque, di qualunque estrazione culturale o sociale. Capace di aggregare, di incuriosire, capace di divertire e di commuovere”. Ed ha commosso per sempre, oggi, l’ultimo mattatore del teatro italiano, lasciandoci ancora affamati di quel divertimento che ci regalava spontaneamente, di cui non saremo mai sazi. Ma è solo con il sorriso e con un infinito applauso che oggi possiamo salutarlo.
https://youtu.be/7Lb5ZErTMZU