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Pena di morte: dissuadere la criminalità o macchiare la giustizia?

Silvia De Martino 10/10/2022
Updated 2022/10/10 at 4:48 PM
5 Minuti per la lettura

Abbattere la criminalità a colpi di fucilazioni, impiccagioni, decapitazioni o iniezioni letali: è questo il criterio che vi è alle spalle del concetto di pena di morte. Un’esecuzione capitale che dovrebbe sradicare il male dalla società, ripulire il mondo dalla criminalità e allo stesso tempo il timore e il rischio di morte che dovrebbe dissuadere un individuo dal compiere un atto illegale. Ma è realmente così? La minaccia di morte frena concretamente gli atti criminosi o macchia solamente la giustizia, che si rende autrice di trattamenti inumani e degradanti?

Una pratica anacronistica, contro i dettami rieducativi e di recupero, oltre che punitivi, della carcerazione. La pena di morte non lascia aperte altre porte e non consente possibilità di correzioni a seguito di un eventuale errore giudiziario. Nessun sistema giuridico, infatti, può considerarsi esente dalla possibilità di commettere un errore che potrebbe provocare la perdita di vite innocenti.

Giornata europea e mondiale contro la pena di morte

Venti anni fa, con l’entrata in vigore del Protocollo n.13 della CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell’uomo), emanato in seno al Consiglio d’Europa, è stata affermata l’abolizione della pena di morte in tutte le circostanze e nell’ambito spaziale di tutti gli Stati firmatari. In occasione della Giornata europea e mondiale contro la pena di morte, la cui ricorrenza cade nella giornata di oggi, l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa hanno ribadito l’opposizione a questa pratica, purtroppo ancora attiva in alcuni Stati ONU (si tratta di 18 Stati, quindi il 9% del numero totale dei membri) ed invitato Armenia e Azerbaigian, ultimi due Stati membri del Consiglio d’Europa che non hanno ancora aderito, a sottoscrivere tale protocollo per abolire la pena di morte.

Il report di Amesty International: la situazione nel 2021

Attraverso l’ultimo report di Amnesty International, pubblicato il 24 maggio 2022, è possibile avere una panoramica circa l’applicazione della pena di morte a livello globale nel 2021. Nella sua azione di monitoraggio, l’ONG ha rilevato un incremento del 20% per le esecuzioni, il cui numero totale è salito da 483, del 2020, a 579 nel 2021. Dai dati evidenziati emerge che allo stesso modo è aumentato il numero di condanne a morte, che è passato da 1477 a 2052, con un incremento percentuale del 40%.

Nonostante questo aumento, resta importante sottolineare che si tratta comunque del secondo valore più basso registrato per le esecuzioni dal 2010.

L’aumento delle esecuzioni e condanne a morte in Iran

Nel 2021 si è rilevato in Iran il più alto numero di esecuzioni dal 2017: le condanne realizzate in questo Paese contribuiscono in larga scala all’aumento complessivo nel numero totale. Infatti, in Iran si è passati dalle 246 esecuzioni del 2020 alle 314 realizzate nel corso dell’anno passato (incremento del 28%). La maggior parte di queste condanne derivano da reati di droga, che rappresentano il 42% del totale e il cui ammontare è cresciuto di oltre cinque volte: da 23 a 132.

Un aumento considerevole si è verificato anche in Arabia Saudita, dove il numero di esecuzioni è passato da 29 a 65.

La situazione in Cina e l’appello di Amnesty

Secondo quanto dichiarato dall’organizzazione non governativa, un altro Paese da prendere in alta considerazione per quanto concerne le condanne a morte è la Cina. Dal 2009 Amnesty International ha smesso di pubblicare le stime sull’uso della pena di morte in tale Paese, a causa della distorsione realizzata dalle autorità circa il numero effettivo di esecuzioni. Si ritiene, però, che la Cina sia uno degli Stati che maggiormente adopera questa pratica e si stimano migliaia di condanne ed esecuzioni realizzate ogni anno in questo territorio. Nel report, inoltre, si legge chiaramente un appello al governo cinese, in cui Amnesty International “rinnova l’invito alle autorità cinesi a rendere di pubblico dominio i dati sull’impiego della pena capitale”.

Tenendo conto di queste considerazioni ed anche della segretezza dei dati di Corea del Nord e Vietnam, oltre che un accesso limitato alle informazioni di altri Stati, la stima realizzata da Amnesty è sicuramente inferiore al numero reale.

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