Che la professione forense si stia progressivamente colorando di rosa è un dato di fatto. Lo illustrano chiaramente i dati elaborati dalla Cassa Nazionale Forense: se nel 1981 le donne iscritte alla cassa rappresentavano appena il 7% della popolazione e nel 2005 il 36%, nel 2020 la quota rosa è arrivata a coprire ben il 48% dell’intero.
Se nei numeri sembra profilarsi una parvenza di equità rappresentativa, la professione forense – come ogni libera professione – riserva alle donne una pluralità di sfide. Tutte riconducibili alla più vasta problematica della conciliabilità della libera professione con la cura della famiglia. È doveroso, innanzitutto, chiarire un aspetto: che sulla parità di genere nelle libere professioni potrebbero spendersi ben poche parole in un contesto sociale che non relega la donna nel ruolo di moglie e di madre o che non esige dalla donna in carriera una funzione, altresì, assistenziale senza riconoscere – se non sulla carta – il medesimo dovere e, anzitutto, diritto.
Va segnalato che il legislatore è intervenuto a tutelare le professioniste in gravidanza con la l. 27 dicembre 2017 n. 205, con cui ha espressamente ricompreso la gestazione fra le ipotesi di legittimo impedimento che giustificano il rinvio di udienza. Senonché, ciò non sembra sufficiente a garantire le pari opportunità in ambito legale. Immaginate di essere una libera professionista, di essere nel bel mezzo di una pandemia globale, di avere un’udienza in mattinata e di essere assillati da un unico martellante interrogativo: chi resta con i bambini che seguono le lezioni a distanza? Chi sta con loro il pomeriggio? Immaginate che vostro marito non possa perché, ad esempio, deve lavorare e, chiaramente, nessuno ha messo in dubbio che non possa assentarsi. O, ancora, immaginate di essere nell’impossibilità di delegare un vostro collega.
Dell’esigenza di garantire le pari opportunità nell’avvocatura si fanno portavoce, in primis, i Comitati Pari Opportunità (C.P.O.), la cui istituzione presso ciascun Consiglio dell’Ordine è obbligatoria ai sensi dell’art. 25 della legge 247/2012. I C.P.O. assolvono una funzione di promozione delle misure volte a rimuovere ogni situazione di discriminazione nella professione forense. Sebbene si tratti di organismi meramente propulsivi e consultivi rispetto all’agire dell’Ordine professionale, privi di potere di intervento o sanzionatorio, il loro operato ha il potenziale di incidere radicalmente sul tessuto sociale, favorendo condizioni di parità di accesso e progressione nell’attività professionale. Tante sono state le iniziative intraprese dai C.P.O. in tutta Italia: tra queste quella di promuovere la creazione di asili nido per i figli degli avvocati – e non solo – all’interno dei palazzi di giustizia.
Un progetto che suona come irrealizzabile. Eppure, iniziative in tal senso sono state realizzate dal Tribunale di Torre Annunziata, nel 2019, e dal Tribunale di Firenze, nel 2013: un segno di civiltà e un concreto supporto per gli operatori di giustizia. In aggiunta al lavoro svolto dai C.P.O., appare, peraltro opportuna una modifica del codice deontologico forense nel senso di inserire un chiaro riferimento alle pari opportunità, in ossequio al vecchio e noto monito verba volant, scripta manent.
In primo luogo, perché l’assenza di garanzie rischia di tradursi nella denegata giustizia: giustizia che consiste, altresì, nell’essere assistita dal proprio difensore di fiducia e non dal suo collega delegato, per quanto capace possa essere. In seconda istanza, perché l’assenza di garanzia distoglie le giovani leve che, nella prospettiva di costruire un proprio nucleo familiare, prediligano vie più tutelate. Il che si traduce in una modificazione della professione in cui non vale la pena investirei termini di tempo, risorse e formazione. Il che si traduce in uno svilimento del dettato costituzionale che eleva a principio cardine del nostro ordinamento il diritto di difesa, il diritto al lavoro e il diritto ad una famiglia.
Basterebbe, ad esempio, introdurre all’art.19, in tema di lealtà e correttezza verso i colleghi e le Istituzioni Forensi, il dovere di rispetto del principio di non discriminazione e delle pari opportunità di genere. La modifica sarebbe, peraltro, in linea con gli intenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, tra le cui priorità figura la parità di genere. Perché occorre insistere nel garantire le pari opportunità nel mondo dell’avvocatura?
In primo luogo, perché l’assenza di garanzie rischia di tradursi nella denegata giustizia: giustizia che consiste, altresì, nell’essere assistita dal proprio difensore di fiducia e non dal suo collega delegato, per quanto capace possa essere. In seconda istanza, perché l’assenza di garanzia distoglie le giovani leve che, nella prospettiva di costruire un proprio nucleo familiare, prediligano vie più tutelate. Il che si traduce in una modificazione della professione in cui non vale la pena investirei termini di tempo, risorse e formazione. Il che si traduce in uno svilimento del dettato costituzionale che eleva a principio cardine del nostro ordinamento il diritto di difesa, il diritto al lavoro e il diritto ad una famiglia.
di Edna Borrata e Ilaria Ainora
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE
N°228 – APRILE 2022