Le famosissime scarpette da ginnastica Jordan ne han fatta di strada e non solo nei palazzetti dello sport o ai piedi dei più giovani. Son state anche protagoniste di cause legali e tribunali.
È dal 1984 che il cestista americano Michael Jordan dà il proprio nome a scarpe e articoli sportivi in collaborazione con Nike, continuando a farlo anche in seguito al proprio ritiro. Le Air Jordan vengono proposte di anno in anno in diversi colori e modelli e riscuotono costantemente successo. Non a caso, sono tra gli articoli Nike più venduti. Però, come spesso capita, ci sono prodotti simili che minano l’esistenza dell’originale.
Qiaodan è un marchio cinese d’abbigliamento e articoli sportivi che, guarda caso, ha una pronuncia simile al cognome dell’ex campione. E non è tutto, il logo del brand orientale è molto simile a quello delle Jordan. Il cosiddetto Jumpman, noto a livello mondiale per rappresentare i prodotti della linea Air Jordan, è un marchio registrato che riprende la silhouette del cestista nella sua tipica schiacciata. Se oltre al nome, anche l’elemento raffigurativo risulta così simile, se non identico, emerge un problema riconoscitivo. In risposta a quest’affronto, Nike è intervenuta senza successo. In un secondo momento, lo stesso campione dei Chicago Bulls ha affrontato la questione personalmente.
“Sento di dover proteggere il mio nome, la mia identità, e i consumatori cinesi, è una questione di principio” sono state le parole di Jordan. La presenza di un brand che immette sul mercato tipologie di prodotti con logo e pronuncia così simili alla sua persona e a ciò che egli rappresenta è preoccupante. Si potrebbe deliberatamente pensare ad uno sfruttamento illegale della figura di Michael Jordan. Ma dalla Cina sono giunte le giuste difese. Anzi, i legali cinesi hanno ben pensato di approfittare della cosa per fare causa a loro volta all’ex cestista. Ciò perché se il suo effettivo cognome non esiste in Cina, poiché non ha corrispondenti pronunciabili, allora non avrebbe neanche il diritto di citarli legalmente senza un motivo valido.
Aldilà del danno anche la beffa. Molte persone acquistano Qiaodan e non Air Jordan perché la differenza tra i due non è percepibile. Credono, piuttosto, che si tratti dell’esatta proposta che Nike volge in esclusiva al pubblico cinese. Risulta difficile per i consumers cinesi distinguere le due realtà se esse appaiono così simili tra loro.
La battaglia iniziata nel 2012 ha raggiunto un esito recentemente. Il verdetto finale dichiara vincitore lo sportivo. La corte suprema ha deciso che la Qiaodan Sports, società della provincia sudorientale di Fujian, non può utilizzare i caratteri “Qiaodan” sull’abbigliamento sportivo visto che è il nome con cui l’ex giocatore Usa è conosciuto tra i fan con gli occhi a mandorla. Tuttavia, la sentenza non vieta alla compagnia il ricorso alla scrittura del nome di Jordan in cinese con l’alfabeto inglese sulla base che in questo caso non venga violata la tutela del nome nel Paese.
Lo scontro Michael versus China mette in luce un problema reale. Quante volte ci accorgiamo di prodotti che sono frutto della brutta copia di altri riconosciuti. Il fake, il facsimile e il plagio includono una vasta gamma produttiva che supera di gran lunga gli originali. Chiedere giustizia ed ottenerla è lecito ma a quanti bisognerebbe far causa in tal caso?
di Chiara Del Prete