Da qualche mese, sto portando avanti una serie di articoli dedicati ai giovani cantautori e musicisti del nostro territorio. Credo fortemente, sia per inclinazione personale che per passione maturata negli anni, che l’arte – quindi anche la musica – potrebbe essere un efficace antidoto culturale per la violenza che purtroppo scorre nelle viscere dei nostri luoghi.
Il mio ruolo è quindi quello di “fare luce” su ciò che di bello e di stimolante c’è. Perché ricordiamocelo, siamo immersi dalla bellezza e di essa dovremmo cibarci. Mi piacerebbe quindi dedicare questo articolo a Giovanbattista Cutolo, un ragazzo che ha incanalato la sua vita al servizio della musica, allo studio del corno, uno strumento musicale tanto affascinante quanto poco conosciuto.
Intervista a Matteo Trapanese
Ho intervistato Matteo Trapanese perché ritengo sia un notevole cantautore, studioso di composizione musicale, pianoforte jazz e di scrittura poetica. Ascoltando le sue canzoni da lui scritte e composte, mi sono accorto di una sensibilità che è ben espressa nei suoi lavori. Ma come si relazionano passione per la musica e rapporto con il territorio da cui si proviene?
«È ovviamente un rapporto allo stesso tempo d’amore e conflittuale. Ho scritto diverse canzoni che declinano il sentimento della distanza nelle varie forme che essa può assumere. Quella del rapporto con il mio territorio è una di queste: allo stesso tempo casa e terra straniera, centro e periferia, in continua lotta tra ciò che conosco e ciò che fa di tutto per rendermi alieno».
Un universo minuscolo per proteggersi
Ma questo nostro territorio non gode di una pace sociale da tempo immemore. Succede che non sempre si riesca a conciliare la bellezza con la civiltà che un essere umano dovrebbe conservare gelosamente. Mi viene da parlare con Trapanese quindi del giovane Giovanbattista, ucciso a Napoli: «Io penso che sia responsabilità di chiunque abbia il privilegio di poter esprimere con la propria voce i propri pensieri, parlare il più possibile di determinate vicende. Secondo me questo episodio è l’ennesima manifestazione che l’immagine che ha Napoli specialmente al di fuori dell’Italia, in continua crescita per questioni calcistiche, televisive e cinematografiche, è ben lontana dalla realtà di una città che deve ancora compiere molti passi in avanti per assicurare un luogo sicuro e felice in cui crescere, lavorare e avere prospettive future, non solo per i turisti che la vivono quattro o cinque giorni, ma per chi la vive quotidianamente».
Passando alla produzione musicale di Matteo Trapanese, ascoltavo il brano “Canzone di una Stanza”. Leggo da altre interviste che Trapanese ha dovuto costruire forzatamente un suo universo minuscolo: «L’ho fatto per proteggermi: fare in modo che la stanza, per molti anni unica forma di mondo che potevo vivere, al di là del periodo pandemico, potesse offrirmi stimoli anziché inghiottirmi».

Franco Battiato che unisce
Poesie e canzoni: io ho sempre pensato che la poesia sia un luogo dove poter trasformare in parole il proprio dolore. Qual è il tuo dolore?
«Sono un appassionato di poesia contemporanea, in particolare le mie ultime canzoni, non ancora pubblicate e fruibili solo dal vivo, risentono dell’influenza degli scritti di Umberto Fiori, un poeta ligure trapiantato a Milano, con il quale ho anche avuto piacere di confrontarmi. Io penso che al di là di tutte le questioni ideologiche che possono esistere dietro alla concezione dell’arte, ogni forma artistica provenga sempre da una condizione di disagio. Il mio disagio sta nella ricerca tormentata di una libertà da qualche forma di prigionia che spesso noi stessi ci creiamo che può essere la stanza citata prima, la provincia, la timidezza…».
Matteo Trapanese si è dedicato anche alla composizione di musiche per corti e installazioni artistiche, ricevendo apprezzamenti e riconoscimenti. Uno su tutti lavorando all’audio e agli effetti sonori dell’opera di Giovanni Vanacore, “Autoritratto”, vincitrice del primo premio nel contest “Artefici del nostro tempo” e per questo esposta alla Biennale di Venezia nel padiglione Venezia. Da un suo testo, contenuto nel Manifesto del Cambiamento, l’artista Giulia Napoleone trae ispirazione per una sua opera, “Spargere”, arriva in semifinale alla XXI edizione del Premio Fabrizio De André.
Ha aperto i concerti de La Maschera, Anastasio e di Giovanni Caccamo: «L’elemento che accomuna me e Giovanni è l’amore per Franco Battiato, che io ho potuto esercitare “solo” attraverso la fruizione delle sue opere mentre lui ha avuto l’enorme privilegio di poterci lavorare assieme. Un giorno ricevetti un messaggio da Caccamo che mi aveva ascoltato durante una mia esibizione da Red Ronnie e mi propose di dare il mio contributo a un suo progetto, il Manifesto del cambiamento. Da quel momento è nato un rapporto di reciproca stima artistica!».