Custodire le proprie radici, recuperare le tradizioni di un tempo, trasmettere la memoria. Recitare significa anche questo. Almeno è ciò che significa per Pierluigi Tortora che ha fatto del teatro una ragione di vita. «Non riuscirei ad immaginarmi in nessun altro luogo», ammette con un sorriso malinconico. Una espressione che – in meno di un secondo – ci restituisce tutto il peso dell’anno appena trascorso.
E sembra proprio di vederlo mentre osserva, tenace, la vita che gli gira intorno per afferrarne uno spicchio e trasformarlo in uno spunto per i suoi spettacoli intrisi di un sentimento antico e di emozioni perdute. Come nei cinque anni in cui ha lavorato nella compagnia di Toni Servillo portando in scena alcune opere di Molière, oppure quando ha girato lo Stivale portando in scena la storia, in parte autobiografica, di sua nonna. “Giuseppina, una donna del Sud” questo il titolo del fortunato monologo che ha avuto cinquecento repliche. «La nonna è stata la mia prima maestra di teatro, era nata nel 1905 ed è scomparsa nel 2000, attraverso la storia della sua vita e della sua famiglia, riviviamo la storia di un intero secolo».E poi c’è “Zi Fonzo”, così si faceva chiamare Don Alfonso Alfano, un Educatore di don Bosco, un sacerdote che sapeva parlare agli adolescenti come pochi e che Pierluigi, che ha avuto l’opportunità di incontrarlo nel 2010, fa rivivere sul palco della sua Bottega. Pezzi di un puzzle che si compongono e che sembrano partire da molto lontano. «Ho conosciuto il teatro a soli 13 anni, in oratorio, e oggi, che di anni ne sto per compiere 58, mi rendo conto che – se non ci fosse stato il Covid – avrei potuto vantare 45 anni ininterrotti di carriera».Scherza, ma non troppo, Pierluigi che un appello alle istituzioni intende pur lanciarlo: «Il teatro è un luogo sicuro e spero tanto che tutti i presidi di cultura possano riaprire al più presto. Ciò che chiediamo noi artisti è solo poter tornare a fare tutti i giorni il nostro mestiere, recuperare parte della nostra quotidianità, onorare il dono che la vita ci ha concesso, perché se togli ad una persona ciò per cui ha speso la sua intera esistenza, è come se la stessi spegnendo». L’emergenza sanitaria ha interrotto tra l’altro la tournée di “Fronte del porto” di Budd Schulberg, spettacolo diretto da Alessandro Gassmann nel quale Pierluigi Tortora recita una parte al fianco di Daniele Russo, Antimo Casertano, Biagio Musella e tanti altri.In tutto il Paese, da nord a sud, si stanno moltiplicando intanto le sperimentazioni legate al teatro delivery e agli spettacoli on the road. Una idea che non gli dispiace purché non ne stravolga il senso. «Va bene tutto, anche il teatro a domicilio, a condizione che venga preservato lo spirito popolare. Non amo il teatro borghese e neanche le rappresentazioni elitarie». È su queste convinzioni che Tortora ha dato vita nel 2002 al festival “Eremo visibile@invisibile”, poi trasformato otto anni fa in “Le vie dell’eremo”, una rassegna teatrale organizzata in collaborazione con l’Eremo San Vitaliano di Casola e incentrata su tematiche sociali.L’accoglienza degli ultimi, la disabilità, il recupero delle periferie sono stati spesso al centro anche dei cortometraggi, una decina in tutto, dei quali Pierluigi ha curato spesso sia la regia che la sceneggiatura insieme al regista Felice D’Andrea. E poi c’è il cinema.
Un’altra sua grande passione. Compare nel cast de “L’uomo in più” di Paolo Sorrentino, in “Mozzarella stories” di Edoardo De Angelis, in “Lascia perdere Johnny” di Fabrizio Bentivoglio.
E chissà che in futuro non ci stupisca con nuove interpretazioni.
Il sipario della sua Bottega del Teatro, che sorge in uno dei quartieri storici di Caserta, è chiuso da marzo, causa Covid, come tanti altri in Italia. Eppure, proprio ora, i suoi personaggi potrebbero essere di grande aiuto a tutti i cuori sconfortati e oppressi dalla pandemia.
«Il mio è un teatro-verità – svela sornione – c’è poco di inventato. Racconto episodi che sono accaduti davvero, riporto in vita, impersonandole, figure di spicco del passato che ho avuto la fortuna di conoscere direttamente o indirettamente. E poi c’è l’omaggio alla mia città, alla sua storia, alle sue gesta sempre tenendo fede a quella tradizione del teatro popolare, del teatro civile e forse anche un po’ autarchico che mi ostino a voler rappresentare. Da sempre».
Cita Viviani, Eduardo De Filippo e pure Pirandello. Ricorda l’infanzia trascorsa con i Salesiani e invita tutti ad assaporare ogni momento perché «la vita è l’attimo stesso in cui la vivi».
E sembra proprio di vederlo mentre osserva, tenace, la vita che gli gira intorno per afferrarne uno spicchio e trasformarlo in uno spunto per i suoi spettacoli intrisi di un sentimento antico e di emozioni perdute. Come nei cinque anni in cui ha lavorato nella compagnia di Toni Servillo portando in scena alcune opere di Molière, oppure quando ha girato lo Stivale portando in scena la storia, in parte autobiografica, di sua nonna. “Giuseppina, una donna del Sud” questo il titolo del fortunato monologo che ha avuto cinquecento repliche. «La nonna è stata la mia prima maestra di teatro, era nata nel 1905 ed è scomparsa nel 2000, attraverso la storia della sua vita e della sua famiglia, riviviamo la storia di un intero secolo».
E poi c’è “Zi Fonzo”, così si faceva chiamare Don Alfonso Alfano, un Educatore di don Bosco, un sacerdote che sapeva parlare agli adolescenti come pochi e che Pierluigi, che ha avuto l’opportunità di incontrarlo nel 2010, fa rivivere sul palco della sua Bottega. Pezzi di un puzzle che si compongono e che sembrano partire da molto lontano. «Ho conosciuto il teatro a soli 13 anni, in oratorio, e oggi, che di anni ne sto per compiere 58, mi rendo conto che – se non ci fosse stato il Covid – avrei potuto vantare 45 anni ininterrotti di carriera».
Scherza, ma non troppo, Pierluigi che un appello alle istituzioni intende pur lanciarlo: «Il teatro è un luogo sicuro e spero tanto che tutti i presidi di cultura possano riaprire al più presto. Ciò che chiediamo noi artisti è solo poter tornare a fare tutti i giorni il nostro mestiere, recuperare parte della nostra quotidianità, onorare il dono che la vita ci ha concesso, perché se togli ad una persona ciò per cui ha speso la sua intera esistenza, è come se la stessi spegnendo». L’emergenza sanitaria ha interrotto tra l’altro la tournée di “Fronte del porto” di Budd Schulberg, spettacolo diretto da Alessandro Gassmann nel quale Pierluigi Tortora recita una parte al fianco di Daniele Russo, Antimo Casertano, Biagio Musella e tanti altri.
In tutto il Paese, da nord a sud, si stanno moltiplicando intanto le sperimentazioni legate al teatro delivery e agli spettacoli on the road. Una idea che non gli dispiace purché non ne stravolga il senso. «Va bene tutto, anche il teatro a domicilio, a condizione che venga preservato lo spirito popolare. Non amo il teatro borghese e neanche le rappresentazioni elitarie». È su queste convinzioni che Tortora ha dato vita nel 2002 al festival “Eremo visibile@invisibile”, poi trasformato otto anni fa in “Le vie dell’eremo”, una rassegna teatrale organizzata in collaborazione con l’Eremo San Vitaliano di Casola e incentrata su tematiche sociali.
L’accoglienza degli ultimi, la disabilità, il recupero delle periferie sono stati spesso al centro anche dei cortometraggi, una decina in tutto, dei quali Pierluigi ha curato spesso sia la regia che la sceneggiatura insieme al regista Felice D’Andrea. E poi c’è il cinema.
Un’altra sua grande passione. Compare nel cast de “L’uomo in più” di Paolo Sorrentino, in “Mozzarella stories” di Edoardo De Angelis, in “Lascia perdere Johnny” di Fabrizio Bentivoglio.
E chissà che in futuro non ci stupisca con nuove interpretazioni.
di Daniela Volpecina
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE NUMERO 214
FEBBRAIO 2021