È di qualche giorno fa la notizia del giovane ventunenne di Pisciotta, nel Cilentano, molestato da una donna più grande di lui. L’avrebbe fermato con la scusa di chiedere indicazioni, per poi mostrargli il seno e toccarlo nelle parti intime. Il ragazzo è fuggito denunciando l’accaduto ai Carabinieri, quasi giustificando la sua scelta:
«Ho denunciato il fatto alla stazione dei carabinieri di Pisciotta perché potrebbe succedere ad altri ragazzi e magari anche a dei bambini».
La vicenda ha fatto parlare e anche divertire molte persone sui social, scavalcando i confini del piccolo centro cilentano. Tutti i giornali online, sia locali che nazionali, hanno riportato la notizia. In alcuni casi si è parlato di “molestia a ruoli invertiti”, come se le molestie sessuali fossero espressione di un’identità di genere piuttosto che un abuso di potere. In altri casi la molestia è diventata perfino “avance” e l’immagine in copertina un abbraccio tra due innamorati.
Sotto ai post sono esplosi i commenti e soprattutto, le risate. Tra chi ha gridato alla fake news perché un “fatto raro”, “inverosimile” e chi ha ridicolizzato il ragazzo, il tenore dei commenti è riassumibile in alcuni screen riportati in basso. A consolare un po’ i sospetti – e anche le risate – la notizia sull’identità della molestatrice, che secondo le indagini dei Carabinieri della stazione di Pisciotta sarebbe “un trans”.
La reazione, purtroppo comune, non fa che mostrare l’esistenza di un profondo problema culturale, che si nutre di immagini stereotipate della donna (e dell’uomo) e dei ruoli di genere, diffuse e radicate nella nostra società.
Una società in cui se una donna viene molestata, se l’è cercata, per il suo modo di vestire o perché troppo ubriaca. Se un uomo viene molestato, o meglio denuncia una molestia, è la donna che è “un cesso” tanto da farlo scappare per la paura.
Una società in cui l’essere uomo significa essere sempre pronto a fare sesso, vantarsi delle proprie conquiste sessuali, non sprecando mai un’occasione per esprimere la propria mascolinità. Una mascolinità cosiddetta tossica, che vede gli uomini guidati da un istinto naturale che li fa agire per soddisfare il proprio desiderio, a cui si può facilmente associare il famoso proverbio “l’uomo è cacciatore, la donna è preda”. Non ammettiamo che un uomo possa essere fisicamente o psicologicamente schiacciato da una donna. Lui è il cacciatore, lei la preda, la vittima, punto. Non c’è contraddittorio.
Come se, nella cornice della battaglia costante contro gli stereotipi di genere, più che la visione della donna, la figura dell’uomo fosse intrappolata nel senso comune a una visione primordiale e animalesca. Si tenta progressivamente di accettare la donna forte, indipendente, lavoratrice. Ma non l’uomo vulnerabile, sensibile, che sceglie di dedicarsi alla casa e ai figli piuttosto che al lavoro (“mammo”). Che soccombe e non prevarica, che denuncia le molestie di una donna (“femminuccia”). È uno dei motivi per cui moltissime denunce non vengono portate all’attenzione delle autorità. Infatti, le probabilità che un uomo possa non essere creduto, che la violenza venga sminuita e derisa e la virilità messa in discussione sono altissime. Come del resto la recente vicenda ha portato all’attenzione.
Gli uomini abusati esistono e la violenza non è una prerogativa degli uomini, allo stesso modo in cui l’essere vittima non è prerogativa delle donne. Il racconto della mascolinità (così come della femminilità) è l’espressione più pura del sistema patriarcale, un sistema binario, che crea una gerarchia non solo tra uomini e donne, ma tra uomini eterosessuali, bianchi, forti, e tutti gli altri. Non è una fantasia, né un’opinione. La cultura patriarcale è tossica per tutti ed esige una rivoluzione non soltanto al femminile.