Inaugura al Teatro Bellini di Napoli con un testo inedito lo spettacolo Moby Dick alla prova, tratto dalla riscrittura di Orson Welles della favola di Herman Melville, diretto dall’eclettico Elio De Capitani, che recita sul palco insieme agli attori Angelo Di Genio, Giulia Viana, Cristina Crippa, Marco Bonadei, Alessandro Lussiana, Enzo Curcurù, Massimo Somaglino, Vincenzo Zampa, Michele Costabile e Mario Arcari.
Sulla scena Elio De Capitani vestirà come attore i panni di padre Mapple, di re Lear, del capitano Achab, e dell’impresario teatrale, in uno splendido esempio di metateatro. Le musiche e i canti sono di Mario Arcari e Francesca Breschi, per 140 minuti di rappresentazione, divisi su due atti, con un grande impianto sonoro e di luci e una meravigliosa resa scenica.

La struttura dello spettacolo
Siamo in un teatro americano di fine ottocento. Tra cambi di scena, in un avvicendamento tra le figure sul palco che si sdoppiano nei ruoli di attore e di personaggio e le pagine del racconto Moby Dick, il cetaceo bianco, gli attori avviano lo spettacolo recitando le parti loro assegnate dall’impresario. La pièce racconterà poi, di caccia alle balene, di baleniere e di mari lontani. Di oceani.
In quasi tutti gli uomini si risveglia – dice l’instancabile Elio De Capitani, regista e attore- l’amore per l’Oceano. I Persiani affrontano l’Oceano, Narciso lo cercherà e vi morirà affogato. Tutti coloro che inseguono l’urgenza delle cose lontane punteranno verso l’Oceano.

Il colore bianco è il colore di Moby Dick
Il colore predominante nelle parole raccontate è il colore bianco. I fantasmi sono bianchi e bianca è la morte, com’è bianca la spuma del mare, e il desolato fragore delle montagne di ghiaccio che cadono nel mare. Il capodoglio Moby Dick è bianco, e per questo diviene simbolo e ossessione di caccia. Il bianco è certamente il colore della verità cristiana, ma al contempo anche quello della desolazione umana.
Il capodoglio è proprio quel capodoglio, quello che molti ormai chiamano solo con il suo nome. Troneggia sul palco il nome di Moby Dick. «Quel capodoglio» che fu causa del dolore del capitano Achab, perchè in tempi lontani portò per sempre via la sua gamba, costringendolo ad una esistenza da infermo, trasformandolo in uno storpio che sia trascina per l’eternità. Achab, il capitano, è «un grand’uomo, senza religione, simile a un Dio», che durante la navigazione resterà per molto tempo chiuso nella cabina del Pequod prima di apparire e svelarsi per comunicare alla ciurma il reale senso della navigazione: uccidere Moby Dick.

I personaggi
Undici gli attori impegnati sul palco. Il giovane Pippin, è un piccolo ragazzo nero, reso schiavo, che suona il tamburello, e finisce spesso in mare, viene ripescato un’ultima volta, ma diviene completamente pazzo.
Starbuck è un marinaio che in fondo vorrebbe soltanto lavorare su una baleniera e dare la caccia alle balene, vuole essere pagato per svolgere questo lavoro, e non mostra odio o sentimenti di vendetta. Alla fine sentenzierà rivolgendosi al capitano: «Achab guarda ad Achab! Guarda a te stesso: Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu che insensato cerchi lei! ».
Ismaele è il narratore della storia, l’unico sopravvissuto alla tragica morte della spedizione in mare. L’attore è l’unico a recitare senza maschera sul viso, e spinge la scena verso tematiche alte, legate alla più ampia condizione umana, alla fede in Dio, alla speranza, all’ignoto e alla verità.
Il senso della vendetta
Ma quanto varrà la vendetta?
La caccia a Moby Dick è una battaglia contro il male, in una ricerca folle e irragionevole. E’ anche la battaglia dell’uomo contro la natura. E’ ossessione e vendetta. Ma è una battaglia nella quale la natura vincerà, e l’equipaggio tutto perderà la vita; l’imbarcazione Pequod verrà risucchiata dal mare, il capitano sarà vinto dal sopraggiungere della morte. Resterà in vita solo Ismaele, il narratore, che potrà raccontare, e dare inizio alla scrittura di Melville.
E’ una sfida teatrale al grande romanzo americano quella che viene portata sul palcoscenico del Teatro Bellini, realizzata attraverso una scenografia disadorna e gelida, dove tutto dovrà essere immaginato dal pubblico: dal temporale, ai canto dei gabbiani, dal rumore delle onde, al soffio del vento che muove il grande telone sistemato alle spalle degli attori, e dietro al quale gli attori diventano ombre dei loro stessi corpi. Tutto è simbolico, tutto è ignoto. Tutto è inafferrabile come la bianca balena Moby Dick.
ph. Mina Grasso