“Migranti e rifugiati subiscono orrori inimmaginabili durante il loro passaggio e la loro permanenza in Libia.”
Queste le parole con cui si apre il rapporto delle Nazioni Unite sulle condizioni in cui versano i profughi nei campi di detenzione libici, testimoniate da oltre 1300 interviste che descrivono scene di tortura, stupro, e innumerevoli altre atrocità. Le violazioni dei diritti umani ormai all’ordine del giorno e le numerose denunce dell’Onu e delle Ong internazionali non bastano però a convincere il nostro governo a non rinnovare il Memorandum Italia-Libia, che il 2 febbraio di quest’anno è stato prorogato per altri tre anni.
La prima versione di questo accordo, il “Trattato di amicizia tra l’Italia e la Libia” è stata firmata nel 2008, tra il governo Berlusconi e il colonnello Gheddafi. L’accordo, che prevede il finanziamento da parte dell’Italia della guardia costiera libica e degli stessi centri di detenzione, è stato confermato nel 2017 con il nome Memorandum, per poi arrivare al rinnovo di poche settimane fa. Il tutto costa all’Italia ben 5 miliardi di euro, dilazionati nel giro di 20 anni, escludendo i fondi versati dalla Comunità Europea.
Di fronte alle numerose critiche e proteste nate dal rinnovo, la Farnesina ha spiegato di voler introdurre delle modifiche al trattato volte a garantire la tutela dei migranti e a promuovere il rispetto della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, mai riconosciuta dal governo libico. Le modifiche dovrebbero garantire inoltre una maggiore presenza dell’Onu, fino ad affidarle la stessa gestione dei campi. Operazione con scarse probabilità di riuscita, considerato che l’Onu ad oggi ha accesso a solo 3 dei 19 campi di detenzione governativi. La portavoce italiana dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, Carlotta Sami, ha inoltre dichiarato che l’organizzazione non è stata interpellata nella stesura degli emendamenti. Le richieste dell’Onu, afferma, sono sempre le stesse: chiusura di tutti i centri di detenzione, sostegno anche economico ai rifugiati che vivono nel paese e ripristino del piano di trasferimento dei rifugiati rinchiusi nei centri.
Le dichiarazioni della Farnesina non bastano dunque a tranquillizzare le Ong e i diversi parlamentari italiani che, in questi giorni, stanno attaccando duramente la proroga dell’accordo. “Invece di stracciare con vergogna quell’accordo adesso si pensa che inserire due righe sulla tutela dei diritti umani basti a lavarsi la coscienza, mentre in Libia è scoppiata una guerra terribile e gli stessi cittadini di quel paese rischiano ogni giorno la vita.” scrive Alessandra Sciurba, portavoce dell’Ong Mediterranea.
Contro il memorandom si schierano nettamente anche i Radicali Italiani, che il 2 febbraio si sono riuniti in presidio fuori Montecitorio per chiederne la sospensione immediata. “Il rinnovo è umanamente inaccettabile” afferma la Bonino, che definisce connivente l’atteggiamento del governo italiano nei confronti delle risapute brutalità subite dai migranti nei campi.
A commentare l’accordo con entusiasmo è invece la ministra dell’interno Luciana Lamorgese, che sottolinea una riduzione del 97% dei flussi migratori e un calo delle morti in mare. Niente di più vero. Le morti che prima si verificavano durante le traversate sul Mediterraneo, infatti, ora si verificano invece nei campi libici, a causa delle malattie, la fame, la sete e le indicibili torture sempre impunite. Secondo le parole della ministra questo, a quanto pare, dovrebbe farci sentire meno colpevoli.
di Marianna Donadio