Quando parliamo di Medical Humanities intendiamo lo studio delle discipline umanistiche applicate alla medicina. Un rapporto che pone le origini già negli anni ’80 in America e che, da alcuni anni, sta iniziando ad evolversi in Italia attraverso centri di studi specifici e Master che ne permettono l’approfondimento. Questo binomio è stato fortemente voluto dalle scienze mediche, che volevano mezzi come l’arte, il cinema, la letteratura e tutte le altre scienze umane per ampliare il loro campo ed essere utili nella cura.
L’insegnamento sostanziale delle Medical Humanities è che queste realtà non sono divise, bensì possono interscambiarsi tra di loro, anche raggiungendo dei risultati eccellenti come, ad esempio, l’importazione della poesia per fini terapeutici nel caso delle malattie neurodegenerative: quando il paziente perde la capacità di parlare, con la poesia si riesce a rallentare il degrado. Nel corso del tempo si è sempre di più settorializzato, diventando così una vera e propria scienza in via di sviluppo.
Ci siamo confrontati con la Professoressa Paola Villani, Direttrice del Dipartimento di Scienze Umanistiche e Coordinatrice Scientifica del Master in Medical Humanities presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli: un’esperta del settore che farà chiarezza su questa nuova scienza tutta da scoprire. Quello delle Medical Humanities è un settore del tutto innovativo in Italia, ma molto seguito invece all’estero.
Qui sono pochi i centri e solo due le Università che si stanno mobilitando in questo ambito, ma è importante che si tuteli ed incentivi questo sviluppo, in virtù della cura. «L’importanza dello studio di queste discipline – afferma la Prof.ssa Villani – fortunatamente sta emergendo in Italia. Si tratta di una svolta culturale soprattutto in tutto quello che riguarda il comparto “salute-benessere”.
Si sta comprendendo che qualcosa deve cambiare sia nel rapporto tra personale sanitario e paziente, sia nel personale stesso: si tratta di un’evoluzione del trattamento di cura, da quello che era un approccio prevalentemente ippocrateo si stava correndo il rischio di passare ad un approccio totalmente tecnologico, che faceva scomparire quella che era la figura del medico originale.
E ci tengo a sottolineare che “si stava per correre” questo rischio perché, prima negli Stati Uniti e poi anche qui in Italia, ci si è resi conto che la componente umana è diventata indispensabile: bisogna imparare a saper leggere non solo dentro le cartelle cliniche e i referti, ma anche dentro le persone. Le neuroscienze ci hanno dimostrato che i procedimenti mentali di comprensione e di conoscenza, ma anche di motivazione e superamento del trauma sono strettamente correlate alla narrazione di esso.
Noi non studiamo dei metodi di comunicazione tra medico-paziente, bensì altro: studiamo il meccanismo che muove le riparazioni dei traumi. La costruzione e la riparazione del trauma avvengono attraverso la narrazione».
Uno studio consigliato non solo al personale del settore sanitario, ma anche a specialisti di molteplici settori in quanto pone obiettivi nella formazione psicopedagogica di ogni professionista.
«Con lo studio delle Medical Humanities, si formano esperti in scienze umane in relazione ai rapporti di cura: possiamo intendere sia rapporti nel settore sanitario, ma anche in quello psicopedagogico. Le competenze sono proprio quelle che permettono una conoscenza ed un’elaborazione del sé ed un’introduzione al funzionamento del cervello umano e delle narrazioni.
Queste sono le due traiettorie: da un lato i meccanismi celebrali e dall’altra quelli narrativi. È fortemente consigliato lo studio, attraverso il Master, di questo settore perché migliora non solo sé stessi, attraverso la “palestra del sé”, ma anche tutte quelle relazioni che riguardano non solo l’ambito sanitario, ma anche tutti gli ambiti di relazione del professionista specializzato con il prossimo».
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE
N°225 – GENNAIO 2022