Giornalista, blogger e grafico pubblicitario, in più di un’occasione Maurizio Zaccone ha portato all’attenzione generale gli attacchi che la sua città soffre. Ha scritto un libro “Sputtanapoli”, perché è quotidiana la narrazione che si fa di Napoli viziata dal pregiudizio e da luoghi comuni e andava denunciata. «Lo sputtanapoli è il bisogno endemico di parte della popolazione di usare Napoli come metro di paragone con accezione negativa. È la panacea di tutti i mali di chi vuol dire “stiamo male ma c’è chi sta peggio” e sa che dicendo Napoli è più semplice».
Il titolo del libro anticipa in modo diretto quanto da lui raccontato: un’attenta analisi cronologica di articoli e notizie che parlano di Napoli in modo distorto. Articoli che sottintendono un giudizio implacabile: “Siete in questa situazione e ve la siete voluta voi”, dove i fatti vengono troppo spesso filtrati da pregiudizi radicati nella storia.
Durante il periodo di quarantena per il Covid, questa guerra pretestuosa e contraddittoria che la stampa ha mosso nei confronti di Napoli si è acuita. Nell’affannosa difesa partigiana delle virtuose regioni del Nord che (ahinoi) si sono ritrovate a essere esempio negativo per tutta l’Italia, si sono moltiplicati gli attacchi alla Campania. Colpevole di aver affrontato in modo diverso l’epidemia, di averla contenuta e, soprattutto, di aver lasciato che un’eccellenza come la ricerca medica, sopraggiungesse a risultati importanti prima di altre.
Abbiamo visto un rincorrersi di notizie insultanti seguite da giustificazioni più o meno sentite, in realtà non hanno fatto altro che risultare ridicole.
Eppure siamo spesso proprio noi napoletani a non apprezzare quanto di buono ci sia: «La continua ricerca del riscatto è insita in molti di noi e credo derivi da una storia che ci ha visti troppe volte oppressi e dominati, seppure mai conquistati. Alla ricerca di un posto nella storia che da un lato sentiamo di meritare dall’altro vediamo sempre rimandare, si generano sentimenti o di forte orgoglio o di pessimismo acuto. Un qualcosa che ritroviamo pari nel calcio. L’ambizione di voler vincere, di sentire di “meritarlo” pur senza un palmares che concede questo “diritto” e lo svilimento nel pensare che questo potrebbe poi mai accadere. Una delle più semplici soluzioni narrative che ci è stata inculcata è: “è colpa vostra”. Ma sono “loro”, non “noi”».
Grande tifoso del Napoli e conoscitore del mondo azzurro, spesso è intervenuto sui canali d’informazione. Viene spontaneo chiacchierare con lui della difficile annata che la squadra partenopea ha vissuto. «Credo che Gattuso abbia apprezzato il Napoli che Sarri aveva costruito e ha cercato di capire se fosse ancora possibile farli giocare con quei meccanismi. È intervenuto su mille problemi, ovvio che l’inizio sia stato disastroso: si era ormai perso l’equilibrio».
Un polso fermo di mazzarriana memoria, ha portato in campo la grinta di quando giocava. I risultati sono arrivati. Quanto è diverso da Ancelotti? «Senza mettere in discussione quanto fatto da mister Ancelotti nella sua carriera, a Napoli ha smontato un giocattolo che funzionava mettendo a dura prova gli equilibri e la pazienza tifosi! L’esasperato turn over e i cambi di ruolo hanno confuso lo spogliatoio. Anche il mercato di luglio è stato improvvisato e senza scopo. Infatti i rincalzi necessari, come il regista, sono arrivati nel mercato di riparazione di gennaio».
Oggi più che mai il calcio rappresenta lo specchio del paese in tutte le sue sfaccettature ed è importante che la rappresentanza delle squadre del Sud aumenti. Queste diseguaglianze economiche ce le portiamo dietro dalla riforma del campionato 1926-27, quando la partecipazione alla Prima Divisione rappresentò per il Sud un aggravamento economico e solo pochi club riuscirono a reggere l’impatto finanziario.
«Attualmente c’è una coscienza civica che si sta risvegliando. Per quanto queste disuguaglianze economiche siano palesi, il Sud sta riscoprendo le proprie eccellenze e vuole valorizzarle. Come il Progetto CompraSud o RegalaSud, che insistono sulla conoscenza e la diffusione dei prodotti locali».
di Alessandra Criscuolo