Il collettivo Madonna d’è Rose nasce nel 2017 proponendosi di celebrare il connubio tra arte e tradizione. Il Festival viene festeggiato con un corteo processione il 30 maggio per il centro storico di Napoli. Per saperne di più, abbiamo chiacchierato con il collettivo.
Questo è il settimo anno che festeggiate il Festival Madonna d’è Rose. Come è iniziato tutto? Cosa è cambiato nella vostra organizzazione e cosa è rimasto uguale?
«La Madonna d’è Rose è iniziata sette anni fa grazie all’unione di Marco Aspride e di Francesco Federico. Marco aveva intrapreso un viaggio di scrittura in Andalusia, dove ebbe una visione, dovuta all’incontro con le culture locali. Nel frattempo, Francesco stava occupandosi sempre di più della tradizione. Così ci venne in mente di creare una Madonna protettrice degli artisti e della tradizione. In questo modo abbiamo iniziato ad incontrarci con altri gruppi che si proponevano di fare lo stesso, in Cilento, in Sicilia o addirittura internazionali. All’inizio eravamo dei semplici ragazzi votati all’arte, a Napoli non erano abituati a una festa come questa, non si capiva se era una festa padronale o eravamo degli scalmanati. Poi però cominciarono ad arrivare messaggi di artisti che ci chiedevano se sarebbe andata avanti. Dopo sette anni, non solo stiamo collaborando con altri gruppi, ma anche col Comune: la città ha iniziato a riconoscere in noi qualcosa di più serio. Inoltre, il nostro gruppo si è allargato. Oggi il gruppo è formato da me, Francesco Federico, Enrico Di Cerbo, Francesco Vitiello. L’ultima festa ha contato più di 1000 persone, dimostrando che gli artisti sono devoti alla loro arte. Ma anche i cittadini possono agire attivamente, dipingendo, cantando o ballando».
Come si articola la celebrazione?
«Ci sono tre fasi tendenzialmente. Prima dell’evento, c’è un momento di convivialità e creatività in cui si inizia a vivere l’aria della festa. Tutto poi inizia con la scopertura del quadro votivo, a differenza delle iconografiche canoniche, la nostra immagina cambia ogni anno, per dimostrare la trasformazione dell’espressione. Tuttavia, molti rivedono la nostra Madonna in un quadro di Francesca Strino. Ha sei braccia che rappresentano le qualità di una mano: prendere, dare, distruggere, creare, accarezzare, schiaffeggiare. Segue la tammurriata iniziale per poi passare alla seconda fase, dedicata alle performance, in cui si esprime la devozione alla Madonna delle Rose. Parte poi la performance collettiva che è la processione dell’arte, ci sono tutte le opere dedicate alla Madonna portate per la città. Questo ha sempre creato molto scalpore, perché alcune delle opere sono molto particolari. Restano allibiti, ma è il nostro scopo: creare una mostra itinerante e stravagante. Il risultato è scoprire ma anche scoprirsi».
Come si lega il culto di una madonna protettrice delle arti alla città di Napoli?
«Il lavoro sulla città di Napoli non è stato così difficile, è una città già ricca di culti e paganesimo. Il culto delle anime pezzentelle a Napoli è un esempio del rapporto animista e intimistico rispetto ai santi. Secondo me, a Napoli viene quasi spontaneo avere come punto di riferimento una madonna, che comunque è una madre terra. Questa città, infatti, è una delle poche al mondo che ha intrinsecamente sia un simbolo maschile, il Vesuvio, sia uno femminile, il golfo. È stato quasi imprescindibile per noi usarla come simbolo».
Che rapporto c’è tra religione e arte secondo voi?
«L’arte ha sempre lavorato a braccetto con la religione, basta pensare al Vaticano. Tutti i templi del mondo sono ricchi d’arte, che è la possibilità di potersi esprimere e di creare. La capacità di sognare e realizzare è ciò che ci distingue come essere umani, anche Madonna d’è Rose è un sogno in questo senso. La religione aiuta in un certo senso ad annaffiare quella pianta che è il credere. In una società moderna la religione viene accostata spesso a riferimenti più negativi. Gli artisti sono sempre stati un po’ lontani dalla religione, ma alla fine un artista è un devoto all’arte».