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Luciano Ferrara: il maestro della fotografia militante

Marianna Donadio 08/08/2023
Updated 2023/08/08 at 10:58 AM
4 Minuti per la lettura

La carriera di Luciano Ferrara inizia alla fine degli anni ’60, in una bottega a piazza Cavour. All’epoca ha sedici anni e forse non immagina che la strada che sta intraprendendo lo porterà a diventare uno dei maggiori fotoreporter italiani e, da 15 anni a questa parte, professore di Tecniche di fotografia analogica all’Accademia delle Belle Arti di Napoli.

La storia di Luciano Ferrara

La sua storia ce la racconta all’interno di quella che è stata definita una casa-museo, in Via dei Tribunali 138, che gli fa da studio e archivio fotografico. Tutto al suo interno, dai libri alle infinite foto appese alle pareti, ci racconta dei pezzi di storia di cui Ferrara è testimone. La grande palestra della sua carriera, iniziata da appena ragazzo, sono i laboratori di foto per matrimoni. Lì impara a stampare in analogico e una volta imparato il mestiere, a partire dagli anni ’70, inizia a lavorare come freelance. Nei primi anni, ci racconta, lavora per riviste militanti come Lotta Continua, ma inizia a ricevere richieste da diversi altri giornali. «Chiamavano me perché i fotografi dei giornali raramente accedevano alle manifestazioni- spiega – avevano paura. In quel periodo su 10 manifestazioni in 9 c’erano gli scontri, dovevi sapere come giostrarti. La fotografia, per come la vedo io, è sempre una fotografia militante, a prescindere dal giornale in cui pubblichi: il tuo occhio è quello». Tra le fila delle manifestazioni, infatti, così come nei reportage di guerra, fotografi e giornalisti si distinguono tra chi cammina tra i manifestanti, trai civili, e chi, invece, fianco a fianco con forze dell’ordine e militari, secondo la pratica dell’embedded journalism. Tra le due prospettive Ferrara ha sempre preferito la prima.

L’esperienza internazionale

Dal ’75 in poi inizia a collaborare con testate come L’Espresso e Panorama, dal ’90 al 2000, poi, lavora principalmente con giornali internazionali. È nell’82 che iniziano i suoi viaggi come fotoreporter, ai tempi della prima invasione israeliana in Libano, a Beirut. Per una quindicina d’anni si concentrerà sull’area del Medio Oriente, documentando la Prima Guerra del Golfo e viaggiando spesso in Palestina. Allo stesso tempo sarà impegnato anche sul fronte est europeo negli anni della caduta del Muro di Berlino, concentrandosi poi sull’Albania nel periodo del primo grande esodo, nel 1991. All’inizio degli anni 2000 sarà a Praga per documentare le proteste no-global, le stesse che porteranno nel 2001 ai fatti del G8 di Genova, che immortala con foto che faranno il giro del mondo. Nel 2003 sceglie di non partecipare alla Seconda Guerra del Golfo. Nel frattempo, infatti, sono cambiate le regole degli ingaggi.

«All’inizio erano le redazioni a cercare i fotografi, perché per anni abbiamo contribuito a costruire storie nei giornali, fornivamo loro delle idee. Poi la crisi del fotogiornalismo ha colpito un po’ tutti. Il reportage non è finito, ma si è sicuramente trasformato. È molto più lento e, secondo me, anche più interessante: fai progetti, lavori sul tuo archivio, pubblichi libri, lavori per riviste un po’ più lente. Il problema è che oggi è più difficile pubblicare, le fotografie non costano niente e c’è tantissima offerta, anche buona». L’ultimo lavoro di Luciano Ferrara è il libro “Era de maggio. Napoli 1987/1990”: un catalogo di 100 scatti che racconta il Napoli di Maradona. È proprio uno scatto in particolare, che ritrae Diego Armando Maradona di spalle al suo primo ingresso nello stadio napoletano, che gli varrà, dopo diversi anni, le lacrime del calciatore stesso, commosso dalla foto che ritraeva “il suo primo respiro al San Paolo”.

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