Luca Rossi: il genio della tammorra

Redazione Informare 16/09/2017
Updated 2017/09/16 at 4:50 PM
4 Minuti per la lettura

Considerato uno dei migliori interpreti della musica e del teatro popolare campano. Suona tutti i tamburi a cornice dell’area del Mediterraneo ed ha già prodotto un proprio metodo di insegnamento della tammorra: Luca Rossi.

Quando le tue mani si posano sul tamburo il tempo si ferma e attraverso le movenze del tuo corpo riesci a trascinarci in un viaggio che si perde nella notte dei tempi facendoci intravedere una bellezza che troppe volte ignoriamo.
«La tammorra, strumento antico e diffuso in tutto il mondo, è  il tamburo che accompagna la voce dei popoli nella preghiera, nella festa ma anche nel malcontento sociale. Ho iniziato a suonare a 12 anni con i gruppi folcloristici locali. Ho fatto parte di compagnie che mettevano la musica del mediterraneo al centro dei loro spettacoli. In giro per il mondo ho conosciuto musicisti  di ogni dove e da ognuno di loro imparavo qualcosa. Dove non arriva la parola, arriva la musica. Poi mi hanno invitato a suonare gli artisti della nostra terra che da piccolo sognavo di incontrare. I sogni prima o poi si realizzano».

La tammorra l’hai definita “mamma tammorra” che come una mamma riesce e lenire il dolore delle ferite dei suoi figli.
«La tammorra si abboffa e si sboffa perché a seconda dell’ umidità presente nell’ aria la pelle del tamburo si restringe e si dilata come il ventre materno. In Campania è associato ai festeggiamenti mariani. Alle feste di tammurriata tutti sono figli della stessa Mamma. Come per magia vedi le comunità rom locali che danzano con gli anziani della tradizione, i femminielli protetti da Mamma Schiavona cantare con dotti antropologi, bambini e vecchi tutti nello stesso cerchio. Il cerchio della tammorra e della pace fra le persone. L’uomo folle, secondo Nietzsche, è deriso perché riesce a vedere una verità che altri non vedono. Ho portato in giro “Il Raccontaio”, un esperimento di teatro sociale,  dove davo  voce agli ultimi, quelli che non avevano parola, come il popolo e la musica che mi piaceva. Quella umile e saggia. Poi ho registrato “Pulecenella Love”, uno spettacolo sull’ amore e sulla contraddizione. Pianoforte, yin e yang, contrapposizione dei sentimenti e delle azioni, come la maschera bianca e nera del nostro pulcinella. Partivo dalla preghiera per parlare dell’ uomo, dal nichilismo per ritornare alla preghiera».

“A questa terra da fuggire dove sempre vuoi tornare” sono i versi iniziali di una dedica alla tua terra. Quanto è difficile vivere della propria arte in questa “terra com-promessa condannata alla bellezza”?
«Non è facile fare arte qui come ovunque e credo in ogni tempo. È una parola troppo grande da dire da vivi. Credo nella ricerca, nello studio e nella comunicazione onesta. È difficile vivere di musica ma campare senza lo sarebbe ancora.di più. La tammorra racconta le contraddizioni della Campania, terra che “brucia” d’amore e di dolore. Ad ottobre uscirà il mio secondo disco “Greetings from Fireland”. È uno spettacolo che parte da questa terra di fuoco che spero sempre abbia la forza di trasformare il male in bene e l’orrore in bellezza. Questa terra da fuggire dove sempre vuoi tornare. Dove ho una bambina di un anno che dovrà vedere un mondo ancora migliore di questo. Il disco lo dedicherò a lei. Per ora io ce la metto tutta».

di Mina Iazzetta

Tratto da Informare n° 160 Agosto 2016

 

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