Napoli, ancora una tragica situazione ha scosso la città quando un litigio per un parcheggio si è trasformato in una tragedia, portando alla morte di un giovane di 24 anni, Giovanbattista Cutolo, privo di precedenti penali e senza legami con la criminalità. Il presunto omicida reo confesso, un 16enne con precedenti giudiziari per tentato omicidio e truffa, è ora sotto custodia. L’incidente è avvenuto a Piazza Municipio nel cuore della città.
Si può morire per un parcheggio?
Il pretesto è un parcheggio ma tutti conosciamo la dinamica (confermata dal 16enne e dalla fidanzata di Giovanbattista): un pretesto inutile per dare il via alla paranzella di compiere il suo violento svago sui più deboli. La situazione è rapidamente degenerata, dopo che Giovanbattista, stanco degli insulti e delle provocazioni fisiche, ha intimato al gruppo di smetterla, culminando prima in un rissa con sgabelli e pugni in faccia ed infine nell’uso di un’arma da fuoco da parte del sospettato, 3 colpi e la fuga. La domanda che molti si pongono ora è: “Si può davvero morire per un parcheggio? Per la noia di qualche ragazzino che pensa di essere “guappo” e più forte? È questa la società che abbiamo creato?”
È ora di interrogarsi
Questo tragico episodio deve sollevare interrogativi profondi sulla società moderna e soprattutto sulle dinamiche giovanili. La crescente tendenza dei giovani a portare armi e risolvere i conflitti con la violenza è motivo di preoccupazione. Questo episodio non è un caso isolato, poiché assistiamo sempre più spesso a giovani coinvolti in episodi di violenza estrema e che perpetuano ancora la dinamica del “branco” e de “il più forte vince”. Ma cosa spinge i giovani a essere armati e così pronti a uccidere anche per questioni apparentemente banali come un parcheggio o la semplice noia? Gli esperti suggeriscono che molteplici fattori possono contribuire a questa situazione ma la verità di fondo è spesso una sola: la mancanza di opportunità per i giovani, la disoccupazione, la mancanza di modelli positivi e il coinvolgimento in ambienti sociali problematici possono influenzare la mentalità dei giovani e portarli a cercare soluzioni violente ai loro conflitti. Ma può un ragazzo di 24 anni morire semplicemente per questo? Può una vita spezzarsi senza opportunità di essere vissuta e ridurre tutte le cause a ciò?
Le metropoli e Napoli devono cambiare
Questo triste episodio dovrebbe anche spingerci a riflettere sulla necessità di promuovere una cultura di rispetto e risoluzione dei conflitti pacifica. L’istruzione e l’informazione possono svolgere un ruolo chiave nell’aiutare i giovani a sviluppare competenze di comunicazione e risoluzione dei conflitti.
E parlare solo di Napoli, anche se protagonista in questo episodio, sarebbe ingiusto e non rispecchierebbe la realtà: Roma, Milano, Firenze, Palermo, Venezia, Torino e via discorrendo sono le metropoli che negli ultimi anni hanno registrato più episodi del genere. Le metropoli devono cambiare, i ragazzi non possono vivere nel terrore di uscire e non tornare più a casa perché ai maranza, guappi, scugnizzi o ai chicchessia di turno va quella sera di litigare e passare il tempo a giocare con le vite degli altri. Questo non è più bullismo ma vero e proprio terrorismo.
Prevenire nel dolore e nella rabbia
In questo momento di dolore, rabbia e sconcerto per la comunità di Napoli, è fondamentale riflettere su come possiamo prevenire futuri episodi di violenza giovanile e promuovere una società più sicura e pacifica per tutti i cittadini. Mentre la giustizia segue il suo corso nell’inchiesta su questo tragico omicidio, dobbiamo anche impegnarci a lavorare insieme per affrontare le radici profonde di questa violenza giovanile e cercare soluzioni che possano evitare che altre famiglie vivano il dolore di perdere il un figlio, un fidanzato, un amico o un fratello semplicemente perché si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato con le persone sbagliate. Il terrore non può e non deve condizionare i nostri giovani e le nostre vite.
Foto di Ciro Giso