L’educazione è un elemento essenziale della persona perché tramite essa ci si pone in relazione.
Il compito di educare spetta a famiglia e Stato, senza classificazioni perché il compito deve essere svolto in maniera sinergica. È oggettivamente vero però che dal momento della nascita, le prime braccia a stringere l’infante sono quelle della famiglia. È lì che si riceve una “infarinatura generale”: la famiglia va compresa nel concetto di “gruppo sociale”, che può essere funzionale o disfunzionale. La funzione socio-educativa si riassume nella responsabilità del nucleo familiare di trasmettere un sistema di valori, modi di fare e condotte corrette per favorire l’inserimento nella società del ragazzo.
In un nucleo familiare funzionale, il processo educativo non può che essere rappresentato da una metaforica bilancia. Può essere compresa ad esempio nel processo educativo, l’equa divisione delle faccende domestiche: ogni membro del nucleo familiare si rende responsabile di una mansione, evitando il sovraccarico di una sola persona. Ciò genera condivisione, empatia e propensione alla collaborazione, migliorando il senso di appartenenza senza nuocere l’autonomia e l’individualità dei singoli membri.
Per andar contro alla non conoscenza del figlio, che non distingue i concetti di giusto e di sbagliato, il genitore applica limiti chiari, senza essere però inflessibile e severo: lasciare un margine di tolleranza fa sì che non si creino costanti conflitti. Ciò porta l’infante a sviluppare lentamente il concetto di buona convivenza, oltre che alla comprensione del “questo si fa, questo invece no”.
C’è da dire che la corretta educazione all’interno della famiglia si basa anche sul concetto gerarchico del nucleo: i genitori sono sullo stesso piano, stesso ruolo in casa e lo esercitano in maniera verticale sui figli, impostando linee guida per loro, applicandole. È importante una comunicazione chiara in cui, anche in caso di conflitti, non ci siano parole volte a ferire l’altro: ogni membro deve sentirsi accettato e in diritto di esprimersi con le sue idee. Ciò crea nel figlio, soprattutto nei periodi pre-adolescenziali, la stabilità emotiva di cui necessita: egli sarà in grado di aprire un dialogo aperto con uno o con l’altro genitore senza timori.
A giocare poi il ruolo sinergico con il nucleo familiare c’è lo Stato che attraverso le leggi e l’istruzione, rende possibile la corretta formazione della persona, a 360 gradi.
Introduzione di Daniela Russo
Educazione e Stato: diritti e doveri
L’articolo 30 della Costituzione, sancendo al primo comma che è prima dovere e poi diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, ricorre all’endiadi dovere/diritto ribaltando la locuzione diritto/dovere. Ciò in ragione del fatto che i genitori decadono dal diritto di educare e di istruire i figli, se non adempiono a tale dovere.
Il dittongo dovere/diritto si eleva anche rispetto all’esistenza di un rapporto coniugale tra i genitori, dal momento che l’art. 30 Cost. estende le garanzie ai figli nati fuori dal matrimonio. L’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, rinviando a diritti fondamentali è connesso alla procreazione, o comunque, allo status genitoriale, indipendentemente dalla situazione giuridica nell’ambito della quale essa avvenga.
Del resto, i contenuti normativi del mantenimento, dell’istruzione e dell’educazione sono manifestazioni peculiari dell’articolo 2 della Costituzione, il quale sancisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
All’interno di questo contesto si rintracciano le linee di un disegno politico che coinvolge la famiglia e la società, attraverso l’interazione di singole disposizioni inerenti alla “gioventù” ed all’ “infanzia”, che non sono manifestazioni isolate di tutela di soggetti deboli, ma si spiegano in una logica sistemica volta a presidiare i diritti dell’individuo in formazione.
Gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione statuiscono la dimensione sociale del diritto all’educazione, il quale non investe soltanto i genitori, ma coinvolge anche lo Stato.
I contenuti privatistici della condizione minorile si intrecciano con i profili pubblicistici dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, di cui all’art. 2 Cost. Il riferimento costante per individuare i contenuti e le scelte di politica legislativa non può che essere la tutela inderogabile del diritto/dovere di formazione morale ed intellettuale del minore, trattandosi di un valore costituzionalmente sovraordinato a qualsiasi altro. Di esso, dunque, bisogna assicurare la continuità senza interruzioni, anche quando il minore delinque a causa di carenze dovute a fattori familiari, ambientali e sociali. Per questa più aperta consapevolezza si sono affermati, sempre più diffusamente negli ultimi anni e con ampi riscontri nei principi sanciti dagli art. 2, 3 comma 2, 30 e 31 Cost., orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che guardano al minore non più come oggetto di tutela, ma come soggetto di diritti; inversione metodologica che ha condizionato le strutture del processo penale minorile, funzionalmente proiettate alla non desocializzazione del minore, attraverso le quali addirittura porre i presupposti della sua integrazione sociale. Su questa necessità si fonda la specializzazione dei giudici: essi con poliforme, adeguato strumentario vagliano (o dovrebbero) la personalità del minore al fine di individuare il trattamento educativo endoprocedimentale più adeguato.
Per queste ragioni la lettura dell’art. 31 Cost. in chiave isolata sarebbe limitativa, quando,invece, è stata concepita, all’interno di nessi funzionali, di cui agli artt. 2, 8, 19, 21, 30 e 49 della Costituzione. Ancora una volta, l’osservazione evidenzia la strumentalità ontologica tra educazione, famiglia e formazione della persona. Se è così, l’ordinamento non può disinteressarsi del ruolo svolto dalla famiglia perché essenziale alla funzione educativa, né dei criteri adottati nello svolgimento di questa. Ed anche se è vero che i metodi e i contenuti dell’azione pedagogica rientrano nella responsabilità genitoriale (artt. 2, 8, 19, 21 e 49 Cost.), essi sono posti a carico dello Stato quando la vicenda del minore diventa vicenda penale, nella quale si ha un’inversione del rapporto famiglia/stato, svolgendo la prima un ruolo prevalentemente assistenziale, non pedagogico, con lo spostamento del diritto all’educazione nei luoghi istituzionali.
Essere figura educativa ed al contempo affettivo è complesso ed è altrettanto difficile crescere mantenendo un comportamento corretto, ecco quindi che occorre dialogare per comprendersi vicendevolmente.
di Salvatore Sardella